sabato 29 dicembre 2012

Assange: The door is open? Propositi per il 2013.

E' apparso, come fa ogni tanto, dal balcone dell'ambasciata ecuadoriana a Londra, dove si è rifugiato a giugno scorso,   ed ha lanciato un nuovo anatema sulla folla:  WikiLeaks si appresta a rilasciare più di un milione di documenti segreti l'anno prossimo, dopo che lui, probabilmente, avrà ottenuto l'estradizione verso la Svezia.
Dopo aver fatto tremare la Casa Bianca e le diplomazie di tutto il mondo, rivelando crimini di guerra e trattative segrete, l'uomo sembra smagrito e pallido, ma sempre battagliero. 
Uno abituato a viaggiare per i continenti è relegato in una stanza di circa 20 metri quadri e sorvegliato a vista, ma dispone di sette computer, pane per i suoi denti... non solo...i supporters di WikiLeaks sono diventati una comunità attiva quasi in ogni Paese.
E mentre attendiamo le nuove rivelazioni, non possiamo non rimanere colpiti dalla sua citazione, che lo rende un po' più "umano": "Se uno crede in qualcosa, deve essere disposto a pagare il prezzo. E questo va bene. Il mio più grande dolore è che questo è un prezzo che i miei figli non sono stati d'accordo a pagare".

Assange dal balcone.

mercoledì 19 dicembre 2012

Strategia di auto-rappresentazione.

In un'ottica sociologica Pierre Bourdieu avrebbe chiamato così la necessità di nascondere la propria inferiorità economica, per cui l'abito o l'accessorio diventano una strategia per rivendicare una immagine di successo nella propria cerchia di conoscenze. Non a caso,  per fare degli esempi,  nella cultura hip hop imperversavano le catene d'oro, e da anni le borse Louis Vitton sono il simbolo, il "wannabe" di tutte le ragazze italiane modaiole.
Ma c'è un gruppo, una categoria di persone che è stato studiato e fotografato da Daniele Tamagni, che mi ha particolarmente colpito, provenendo da uno dei paesi africani più tormentati, la Repubblica del Congo. Il Paese è tra i primatisti mondiali per ricchezze del sottosuolo, ma risulta all'ultimo posto per il prodotto interno lordo.
Oltre ai diamanti e all'oro sono presenti grandi quantità di coltan, un prezioso minerale che è componente fondamentale per la fabbricazione dei nostri cellulari - pensate un po' - tanto che i registi del sanguinario conflitto che vede contrapposte le due etnie, tutsi ed hutu,  da decenni, sono le due superpotenze Cina e Usa.
In questo terrificante scenario sono nati i 'sapeurs' (prendono il nome dalla sigla SAPE, che significa Société des Ambianceurs et des Personnes Elegantes - Ambianceur è un neologismo coniato in Africa francofona, che significa  persone che creano un'atmosfera -)Bene, i sapeurs, che provengono quasi tutti da Brazzaville, la capitale, sono congolesi che fanno i tassisti, i falegnami, i becchini, e che si riuniscono, in genere la domenica,  perchè credono nell' edificante, redentore, beatificante effetto del vestirsi bene, tanto che sono disposti a mettere i loro sudati risparmi dentro questa convinzione, spendendo somme inverosimili per le loro possibilità, preferendo un abito griffato al cibo. Comprano scarpe di coccodrillo francesi, cappotti sportivi inglesi, cravatte artigianali italiane e sfilano e si muovono in complicate coreografie per farsi ammirare.
Se li interroghi, loro dicono che hanno la "sapology" nel sangue, e non si preoccupano del fatto  che con tutti quei soldi potrebbero acquistare una macchina, passare a una casa migliore, o pagare rette scolastiche per i  propri figli.

Giuro che non parlerò più male dei "coatti" italiani!


lunedì 10 dicembre 2012

Lo stress, brutta bestia!

La scorsa settimana ho visto a Vicenza una mostra proprio bella, che consiglio vivamente a tutti.
Se proprio non potete andare, sperimentate almeno  un tour virtuale : Raffaello verso Picasso.

C'è da dire, per onore di cronaca, che il produttore Marco Goldin è stato molto biasimato da alcuni dotti critici d'arte, per aver messo insieme "un'accozzaglia di opere sublimi, senza lo straccio di un'idea o di progetto culturale, che non sia l'apoteosi del marketing del capolavoro. "

In verità non sono molto d'accordo nella demolizione di queste iniziative, perchè se continuiamo con il discorso della fruizione elitaria della cultura  rischiamo di fare come Maria Antonietta, che, a proposito del popolo affamato, esordiva con "Mangino brioches".  Meglio un po' di pane, insomma. L'arte può essere anche divulgativa, condivisibile e coinvolgente, seppure alla base non ci sia una grande cultura e preparazione.  Anche per le nuove  generazioni marchiate Apple, aggiungo.

Siccome tra i possessori di apparecchi Apple ci sono anche io, la cosa che trovo veramente inconcepibile è l'accanimento degli operatori museali nel ricordare pedissequamente ed insistentemente che non si devono usare i cellulari. Sarebbe meglio, forse, farli depositare obbligatoriamente insieme a cappotti e borse e non disturbare continuamente i malcapitati visitatori. A maggior ragione leggendo che una nuova moda impazza, anche su Twitter: farsi degli scatti illegali e personalizzati accanto a famosissime opere d'arte, raccogliendoli sotto un unico hashtag, #Artselfie, slang americano per dire autoscatto.

Renoir, Dance at Bougival

Il ragazzo messo a guardia dei quadri era così stressato che invitava continuamente anche ad allontanarsi dalle opere, poco protette da sistemi di sicurezza. Con il risultato di interrompere in malo modo l'estasi prodotta da cotanta bellezza.  Imperdonabile.

giovedì 29 novembre 2012

Rivoluzione Millennials: dall'io al noi.

E' un fenomeno che a casa dei miei è sempre esistito. Mia madre faceva la sarta e spesso le venivano richieste dalle vicine di podere agricolo piccole riparazioni (orli, abiti da stringere, maniche da accorciare).
Lei non chiedeva soldi, ma la signora interessata non arrivava mai a mani vuote, portando, a seconda  della stagione e della disponibilità , caffè, pane fatto in casa, prodotti dell'orto, formaggio, carne.
Scopro ora che il baratto torna a esercitare un fascino irresistibile e che fa moltissimi proseliti tra i giovani. Il perchè probabilmente risiede nel fatto che lo scambio è un gesto semplice, ma che ha una grande modernità nel momento in cui, come ora, gli oggetti accumulati sembrano così inutili rispetto ai legami umani. E paradossalmente alcuni oggetti o prestazioni acquistano o riacquistano valore nel momento in cui qualcun'altro li apprezza e li condivide.
In fondo, fin da 7 mila anni fa, quando sono nate le città, la condivisione è stata uno dei principi di base della vita urbana. Negli ultimi decenni, complice il benessere,  avevamo un po' rimosso il desiderio di stare insieme, fino a quando l'egoismo ha mostrato tutti i suoi punti deboli, rendendoci più soli, fragili, lontani.
I più giovani di oggi, i Millennials, hanno cominciato a condividere prima la Rete (pensiamo ai social network o a Wikipedia), poi, intravedendo la convenienza e l'opportunità di attuare idee ed obiettivi in comune, hanno spostato l'attenzione sullo "sharing" a tutto tondo: chi scambia un posto in casa, chi un passaggio in auto, chi crea biblioteche condominiali prestando i suoi libri , chi mette in campo competenze tecniche ed artistiche.
Considerando gli indicatori tradizionali dei consumi,  i Millenials, nati tra la fine degli anni novanta ed il duemila,  negli Stati Uniti consumano addirittura meno della generazione venuta fuori dalla Grande Guerra, che dovette tirare la cinghia per ristabilire ordine e prosperità, tanto che vengono definiti la "Cheap Generation". Questi ragazzi non comprano macchine e nemmeno case. Cercano di acquistare mobili, elettrodomestici e libri in comproprietà. Organizzano cene in mense itineranti o clandestine.
Il fenomeno rischia di mettere in crisi i piani di sviluppo ed il modello (consumistico) degli Stati Uniti.
Che invece di manifestazioni di piazza e proteste contro il sistema, sia questa la più grande forma di rivoluzione possibile? Io faccio il tifo, e mi adeguo.

Parola d'ordine: condivisione.



domenica 18 novembre 2012

L'abusivo aggressivo.

Il parcheggiatore abusivo minacciava l'automobilista.

La notizia non mi lascia assolutamente stupita, anzi, mi porta alla mente un episodio simile: una decina di giorni fa io ed il mio compagno avevamo parcheggiato sul Lungotevere, quando si è avvicinato un tipo che, con marcato accento napoletano ha esordito: "Dottò, state attento, c'è gente che sfascia le macchine..." Il tono era mellifluo ed allo stesso tempo minaccioso, quello tipico di alcuni avvertimenti mafiosi. La risposta è stata adeguata, ed il tipo si è immediatamente volatilizzato.

Non giudicatemi perciò politicamente scorretta quando dico che questi episodi non sono che il picco di una serie di piccole vessazioni che quotidianamente ci vedono protagonisti, noi cittadini che abbiamo già il nostro da fare per sopravvivere nella giungla della grande città.

Ogni giorno ormai capita  di inciampare in un punkabbestia ubriaco che si sdraia sulle scale del parcheggio,  di assistere alla pipì di una homeless mentre mangi un panino nel bar davanti all'ufficio, di pagare oboli per canti balcanici nel tragitto del tram quando non ne hai proprio voglia.
Per non parlare di simpatici e insistenti giovanotti di colore che non ti mollano finchè non compri il loro libretto di poesie africane, o ancora di quello stuolo di asiatici che lanciano in aria inutili quanto pericolosi giochini luminosi,  che cercano di venderti per forza rose o improbabili pupazzetti. E i rom che ti puliscono il vetro dell'auto?

Sappiamo che l'aumento di questa varia umanità denuncia uno stato di degrado del vivere sociale civile, e che i problemi di marginalità o di disperazione economica possono costringere a non avere alternative. E di sicuro non è con la forza delle ordinanze che si potrà risolvere la situazione, se guardiamo anche a Paesi che hanno affrontato la questione prima di noi.

In Francia, a Parigi,  i clochard sono cinquemila, e un francese su due teme di finire in strada, non per uno sfizio romantico, ma per l'incombere delle difficoltà dovute alla crisi, che spesso spingono anche i lavoratori poveri nei luoghi di distribuzione di pasti caldi.
Hollande promette di rilanciare l'edilizia popolare costruendo 150 mila alloggi l'anno e favorendo il ritorno all'impiego di muratori, elettricisti, falegnami, idraulici.

C'è da dire che dall'inizio dell'anno a Parigi sono morti almeno 274 clochard, per mano di estremisti e teppisti, o per litigi tra alcolisti, o tra bande che si contendono spazi di accattonaggio .
Una goccia nel mare, ma la disoccupazione e la recessione non faranno che peggiorare certe tensioni. Sarà bene attrezzarci.






sabato 10 novembre 2012

Sushi, arte e dedizione.

Premetto che non sono una patita del sushi, al quale preferisco di gran lunga una frittura di paranza o un piatto di spaghetti con le vongole, ma sono rimasta veramente impressionata da un documentario sul personaggio considerato il più grande maestro al mondo nel campo, tale Jiro Ono.

In tv, ormai,  passano innumerevoli versioni di programmi in cui si assiste alla preparazione di cibi, più o meno raffinati, con lo chef di turno che spiega tutti i passaggi per ottenere un buon risultato, per gli occhi ed il palato. Ma in questo caso è diverso, perchè assistere alla giornata tipo di questo giapponese ottantacinquenne, proprietario di un piccolo ristorante da 10 posti, a Tokyo, con prenotazioni per mesi da tutte le parti del mondo , ti fa cadere in una sorta di fascinazione.

Jiro può insegnarci diverse cose, perchè ama profondamente il suo lavoro, e la cura che mette in tutto quello che fa mira ad accrescere la sua onorabilità. Noi tendiamo, in genere, a parlare di lavoro che appassiona o di lavoro che fa guadagnare.  Lui dice invece: amate il vostro lavoro.

Il sushi è sicuramente un pasto minimalista, ma Jiro non fa come in altri ristoranti, che arricchiscono il menu con altri piatti. Lui prepara, assistito dal figlio,  solo sushi di elevatissima qualità, circa 20 pezzi per persona, alzandosi alle quattro di mattina per andare al mercato del pesce a scegliere personalmente il prodotto migliore. Al cliente chiede solo di fornirgli qualche dettaglio, tipo il  piatto che preferiscono e se sono mancini.

Jiro era povero, ma la dedizione ed il sacrificio lo hanno ripagato. E vederlo lavorare il pesce in maniera così sublime ci fa capire che il talento può essere una componente del lavoro, ma non l'unica. Perchè il talento da solo non basterebbe.





mercoledì 7 novembre 2012

Grey panther, You can, again!



Che dire. Ascoltare Mr Obama nel giorno della sua vittoria ci ha nuovamente emozionato.  Anzi, rispetto a quattro anni fa abbiamo provato anche un po' di invidia,  nel constatare che nonostante la terribile crisi che anche gli States stanno attraversando, rimane inalterato nel popolo americano un forte desiderio di appartenenza, una coesione, che fa ancora credere nell'"American Dream", nella possibilità di riscatto,  partendo da ogni condizione sociale e da ogni età.
Ed è proprio qui che volevo andare a parare, dopo aver letto qualche stralcio del nuovo saggio di Federico Rampini,  "Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo" - manifesto generazionale per non rinunciare al futuro -  dove per noi s’intende l’immensa platea occidentale dei baby boomers diventati appunto pantere grigie alla soglia dei cinquantanni ed oltre. Perchè nella società americana non sempre questi individui sono considerati articoli da rottamare a breve, nè tantomeno bieco ostacolo alla legittima voglia di realizzazione delle giovani leve.
 Perchè è vero che non dovremmo sottrarci alla condizione esistenziale della vecchiaia,  nè arrabbattarci in goffi e patetici tentativi di emulazione nei confronti delle nuove generazioni, ma se siamo in buona salute e abbiamo ancora delle carte da giocare, con la possibilità di sviluppare nuove relazioni o di soddisfare le nostre aspirazioni culturali e lavorative oltre una certa soglia anagrafica, dobbiamo per forza considerare questo una colpa?
 Mi ha fatto sorridere la testimonianza di un tale Michael Winerip che scrive così sul blog del New York Times:
«Stavo per chiamare il Telefono Amico e avvisarli degli abusi (in ambito lavorativo) subiti dai miei figli, ma il mio cellulare non funzionava. Allora ho chiesto ai miei figli uno dei loro telefonini: so che funzionano bene visto che glieli ho pagati io. E non ho avuto difficoltà a contattarli: vivono tutti in casa mia. Già, sono loro la Generazione Millennio che io starei derubando del suo futuro. Non solo vivono in casa mia e mangiano a casa mia, ma guidano automobili che ho comprato io e vanno all’università perché la retta la pago io».
Dice Gad Lerner: " L’Italia fanalino di coda della demografia e del debito pubblico diviene  nel  saggio di Rampini un potenziale laboratorio sociale di iniziative dal basso che suppliscono alla ritirata dello Stato e dei privati. Il paese ideale per vivere la riscossa dell’Età del Bis, coltivandone le vocazioni. Senza avere paura degli orologi". Pantere grigie, all'arrembaggio!

venerdì 2 novembre 2012

Antipatia, portami via...

La fisiognomica ci dice che antipatici si nasce: questione di tratti somatici - ad esempio naso aguzzo e occhi un po’ obliqui pare non trasmettano simpatia - ma antipatici soprattutto si diventa per l'atteggiamento nei confronti del mondo, a volte per aiutare snob e timidi a sentirsi meglio nei loro panni.
Oriana Fallaci già nel 1963 ci costruì un libro dal titolo esplicito "Gli antipatici", in una inchiesta che raccoglieva interviste con le star più celebri di quei tempi, svelandone alcune caratteristiche non proprio gradevoli, appunto.  Di Hitchcock, per esempio,  che aveva sempre adorato, la Fallaci non potrà fare a meno di scrivere: «Ad essere obiettivi, era decisamente schifoso: gonfio, paonazzo, una foca vestita da uomo. Non gli mancavan che i baffi. Da quel grasso di foca il sudore colava copioso ed olioso, in più fumava un puzzolentissimo sigaro che aveva il solo vantaggio di nasconderlo per lunghi secondi dietro una densa nube azzurrina».
Ma la Fallaci stessa non risultava così simpatica, forse perchè non aveva paura di usare le parole, proprio nel momento storico in cui si instaurava la dittatura del politicamente corretto,  per cui oggi per dire ciechi usiamo "non vedenti", se non addirittura "otticamente svantaggiati", per dire vecchio diciamo "anziano", per donna di servizio "colf", per spazzino "operatore ecologico". Ma questo non cambia la percezione del senso comune della gente.  Ecco, io, per esempio, preferisco gli irriverenti antipatici ai politicamente corretti.
Tra le tendenze moderne che si affiancano al malcostume delle raccomandazioni e delle corsie preferenziali, e che generano altrettanta antipatia,  ci sta sicuramente il pagamento di un extra in cambio di una priorità o di un avanzamento di posizione. Sei in fila al check-in del volo low- cost? Puoi avere un posto decente se paghi un importo aggiuntivo, così come se vuoi che i tuoi figli siano in pole position nelle attrazioni dei parchi divertimento, devi sborsare qualcosa in più. E pure i social networks, democratici per antonomasia, ti danno la possibilità (pagando) di promuovere  il tuo post mettendolo in testa alle liste degli interventi.
E comunque, diciamocelo, ci sono tanti fattori che concorrono al fatto di renderci antipatiche persone e situazioni:  aspetto fisico, gestualità, modo di relazionarsi, gusti in fatto di moda, sport, politica, religione. 
Cosa fare? 
La cosidetta psicologia positiva afferma che è sempre utile assumere un’ottica da antropologo, come se avessimo di fronte a noi un rappresentante di una tribù con usi e costumi molto lontani dai nostri. Sto cercando di allenarmi con Grillo e Renzi, tanto che mi sta diventando simpatico pure Briatore. Sarò sulla strada giusta?

martedì 30 ottobre 2012

L'arte, cattiva o buona?



 L'equilbrista - Giancarlo Caracuzzo



Una cosa è indubbia: in occasione del vernissage di "From SuperHeroes to Supersized", complice anche una serata da ascrivere nell'elenco della migliore tradizione delle ottobrate romane,  tiepida e ammaliante, sentivo che le persone,  entrando in galleria,  erano favorevolmente colpite dal messaggio rasserenante che i ciccioni (modelle, animali, ballerini) comunicavano per mano degli artisti.

L'estetica moderna, ed i curatori di mostre ed eventi, si sa, sono molto sospettosi riguardo all'approccio strumentale alla cultura, con la conseguenza che l'arte che mira a consolare il pubblico viene considerata "cattiva", e quella che non chiede nulla se non di essere ammirata sia "buona".

Ma poichè si dice che in questo mondo sempre più laico i musei sono le nuove chiese di oggi, in quanto luoghi di consolazione e riappacificazione con il significativo e con il sacro, perchè spesso, lasciando un museo, ci chiediamo se in quella raccolta di opere ci sia un messaggio,  o cosa voleva dire l'artista?

L'arte cristiana, in questo senso, non ha mai lasciato dubbi, lanciando messaggi simbolici molto potenti: Maria che ricorda la forza della maternità, la croce che ricorda il coraggio di Cristo, l'ultima cena che svela la menzogna ed il tradimento.

E allora ben venga la semplicità del messaggio, se serve a far sì che un'opera d'arte non sia fine a sè stessa, che sia utile a renderci più sereni, saggi, forse anche più buoni.

Raccoglierei volentieri il suggerimento del filosofo svizzero Alain de Botton, che nella catalogazione delle opere dei musei raggrupperebbe generi ed epoche diverse, distinguendo invece le necessità interiori di chi visita il museo, rendendo più fruibile il tutto. E allora si, forse, i musei potrebbero assomigliare alle chiese.








giovedì 25 ottobre 2012

Ernesto e Mirella - Le scarpe.

In "Ernesto e Mirella" ho immaginato che le scarpe da ballo abbiano una vita propria. Non è una idea così originale, direte voi, soprattutto quelli che hanno letto "Scarpette rosse" di Andersen, dove quel paio di calzature  luccicanti saranno la rovina della protagonista, facendola danzare impazzita e senza alcun controllo. Tanto che la bambina, per liberarsi da quella terribile schiavitù, sarà costretta a farsi tagliare i piedi.
Per carità, quella è una favola brutale,  che pone l'accento sul fatto che  noi donne, rinunciando alla nostra autenticità per una effimera illusione, possiamo perdere la nostra vera essenza.

In questo caso le scarpe, simbolo potente per molte donne (sicuramente per me),  a volte  una maniacale passione,  vivono e lottano, come i protagonisti in carne ed ossa,  per non farsi fagocitare dalle mancanze o dai desideri di chi le possiede, riuscendo ad esprimersi fino in fondo soltanto quando sono ai piedi di chi le calza in modo appassionato, magari per ballare un tango.

Cambiando decisamente argomento, come direbbe il cronista del telegiornale, mi viene in mente una poesia dolorosa e struggente, di Joyce Lussu,  che parla di un altro paio di scarpette rosse.

C’E’ UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
Joyce Lussu


lunedì 22 ottobre 2012

Ernesto e Mirella - La meraviglia dell'abbraccio.

Nel racconto che ho scritto e Giancarlo Caracuzzo illustrato, si intrecciano più storie, ma il
fil rouge che le lega è la voglia dei miei personaggi di essere protagonisti del proprio destino.

E che c'entra l'abbraccio, direte voi?  Un attimo,  provo a spiegarvi. Da quando ballo il tango ho scoperto questo eccezionale strumento di comunicazione.
Non parlo dell'abbraccio penetrante e strofinante che descrivono nei manuali di educazione sessuale come preliminare all'atto,  nè quello della mamma che attira a sè il bambino con fare protettivo.
Parlo di quel gesto, spesso sottostimato,  che è la dimostrazione, la volontà di andare verso l'altro, di toccare la sua anima, di trasmettere le proprie vibrazioni. Quell'atto che parla di noi, che assume vari significati dipendenti dalla velocità dell'azione, dal tipo di stretta, a volte forte, a volte incontrollata, a volte semplicemente abbozzata.

Un gesto  apparentemente così semplice che si rivela, per molti neofiti del tango, come la mia Mirella, una sfida. L'abbraccio per lei è un contatto intimo, e inizialmente non riesce a farlo in maniera spontanea: avvicinarsi a un’altra persona  è un rischio, significa abbattere  quelle barriere che separano i corpi, avere fiducia dell'altro, annusarlo, farsi toccare e sostenere,  avendo al tempo stesso consapevolezza dei propri confini, per non pesare troppo.


L'altra sera, durante il vernissage di "From SuperHeroes to SuperSized" ero così contenta,  ho abbracciato un sacco di gente, mi veniva proprio spontaneo.  Ripensandoci,  almeno la metà delle persone rimaneva spiazzata, un po' incredula, un po' sulla difensiva.  Forse non hanno mai ballato il tango, nè partecipato alla campagna degli abbracci gratis.

Campagna degli abbracci gratis.

mercoledì 17 ottobre 2012

La bellezza delle donne.

E' di questi giorni la notizia che per la campagna autunno/inverno 2012-2013 la nota casa di moda londinese Marks&Spencer sceglie sei donne "normali", impersonificate da altrettante belle donne,  non anoressiche, nè giovanissime, ma diciamolo, belle donne.

Scopriamo così che è tornato di moda il mutandone (o panty che fa più chic), quella guaina contenitiva che,  se la mette una taglia 42 è eccezionalmente modellante e femminile, se la mette una donna molto in carne si chiama pancera e non è il massimo,  perchè da qualche parte la ciccia straborderà. E in quella foto non c'è nessuna donna troppo in carne, solo qualche donna appena formosa. Tutte ben truccate, pettinate, vestite e (assolutamente non trascurabile) levigate con photoshop.



E allora penso che non si dovrebbe dire donna normale, ma donna "vera". Come bisognerebbe smettere di dire "ha 50 anni ma sembra una trentenne", oppure "sta bene così vestita, sembra una ragazza".  Insomma, non è più il tempo in cui la giovinezza e la verginità erano l'unico valore mercantile delle donne.

A meno che non ci facciamo incantare dal meraviglioso scritto di Mario Vargas Llosa (premio Nobel della Letteratura - 2010)   Lui si, sa spiegarci magnificamente cosa si deve intendere per donna normale.

Le donne normali

Tutti i fiori del deserto sono vicini alla luce. Tutte le belle donne sono quelle che ho visto, quelle che vanno in giro con cappotti lunghi o minigonna, quelle che odorano di pulito e sorridono quando le guardano. Senza forme perfette, senza tacchi da vertigine.

Le donne più belle attendono l’autobus nel mio quartiere, o acquistano le borse nei negozi di saldi. Si truccano gli occhi come a loro piace e le labbra col rossetto comprato dal cinese.
I fiori del deserto sono le donne che hanno il sorriso negli occhi, quelle che ti accarezzano le mani quando sei triste, quelle che smarriscono le chiavi in fondo al cappotto, quelle che mangiano la pizza con la comitiva di amici, ma piangono solo con pochi di loro, quelle che si lavano i capelli e li fanno asciugare al vento (...)

...Le belle donne non si vedono nelle riviste, loro gli danno un’occhiata quando sono dal medico, e aspettano trepidanti col vestito di fragole il fidanzato. E ridono liberamente alle barzellette della tv e ingoiano la partita di calcio in cambio di un bacio (...)

... Le donne normali sono le bellezze autentiche, senza matite né gomme. I fiori del deserto sono quelle donne che ti stanno accanto. Quelle che ti amano e che amiamo. C’è solo bisogno di guardare oltre l’apparenza, oltre gli occhioni, oltre le gambe scolpite, oltre il seno da vertigine. Effimeri adorni, vestigia del tempo, nemico della forma e nemico dell’anima. Vertigine da dive e pianto da principesse.

La vera bellezza è nelle rughe della felicità…


lunedì 15 ottobre 2012

Dopo l'applauso la standing ovation?

Noi italiani ci siamo sempre distinti per la fantasia, anche nelle esternazioni non verbali. Ci dimeniamo, gesticoliamo, alziamo il tono della voce, per colorare e descrivere le nostre emozioni.
Da qualche anno, pertanto, l'applauso è diventato qualcosa che non ha quasi più nulla a che fare con le emozioni teatrali o patriottiche,  accompagnando spesso,  o sostituendosi,  ai pianti ed agli strazi familiari nei funerali.
Non importa se il defunto sia stato un benemerito della nazione o un fetente mafioso, quando il feretro esce dalla chiesa scatta il lunghissimo applauso, quasi ad evocare l'arrivo delle telecamere.
Forse l'applauso funebre è cominciato con i funerali di Anna Magnani nel 1973, in cui uno scroscio di applausi accompagnò la salma dell’artista. Al tempo poteva essere giustificato dal valore artistico della defunta attrice, tributata come avrebbe sempre preferito, ma nel tempo il battimani si è esteso a moltissime occasioni, è stato democraticamente concesso a tutto e tutti: morti, vivi, personaggi di fantasia, divinità, animali.
Perchè, in fondo, la vera anagrafe degli italiani non è l'edificio presso il quale andiamo a ritirare la carta d'identità, ma la televisione. E tutto sembra rivolto a battere un imbarazzante silenzio.
Trovate qualcosa di straordinario nell'atterrare con l'aereo? Eppure, se vi trovate su un volo in compagnia di connazionali, anche quell'azione che i piloti compiono costantemente, sostanzialmente una prassi, diventa qualcosa da applaudire.
La prossima tappa sarà la standing ovation, riservata un tempo a personaggi e momenti di indiscussa eccezionalità, come la consegna dei premi Nobel.
In fondo l'ha ricevuta anche Ruby, quando in televisione ha assicurato di non essere mai andata a letto con Berlusconi (!)
E non è finita qua  Black Mirror  ci spiega cosa potrebbe accadere in futuro.

venerdì 12 ottobre 2012

Intelligenza o genio?


Nella monumentale biografia di Steve Jobs,  ricostruita da Walter Isaacson, emergono qua e là  tutte le schegge di incontentabilità e stravaganza che caratterizzavano l'uomo nella sua quotidianità, nonostante sia stato probabilmente il leader più innovativo e di maggior successo dell'ultimo secolo, avviando una start-up nel garage dei genitori fino a trasformarla nell'azienda di maggior valore al mondo.

Tra tutti,  mi ha incuriosito l'interrogativo che si è posto Isaacson una sera quando, cenando nella cucina di Jobs insieme ai suoi familiari, l'ha visto completamente disinteressato nel risolvere un rompicapo, dopo aver tentato un paio di risposte brillanti, ma non risolutive, appunto.
Da lì la considerazione: Jobs non era intelligente, almeno non in senso convenzionale. Jobs era un genio. " I suoi sforzi di immaginazione erano istintivi, incredibili, di tanto in tanto prodigiosi. Erano innescati dall' intuizione, non dal rigore analitico. Esperto di buddismo zen, Jobs era arrivato a dare maggior importanza alla saggezza che nasce dall' esperienza più che all' analisi empirica. Non studiava dati, non masticava numeri, ma al pari di un esploratore sapeva fiutare il vento e presagire che cosa avrebbe incontrato più avanti"

Jobs, non a caso, riesce meglio quando si lancia in imprese visionarie e quasi impossibili, quando progetta di coniugare estetica e funzionalità, quando,  indugiando in un perfezionismo al limite della psicopatologia, riesce a carpire i pensieri più intimi delle persone, ad intimidirle, a prendere di mira i loro punti deboli più reconditi ed infine a compiacerle.
Per fare un solo esempio, mentre gli altri producevano computer a forma di scatola con interfacce seriose,  Jobs si rese conto che esisteva un mercato pronto ad accogliere un' interfaccia paragonabile a una gioiosa e luminosa sala giochi. E nacque il Macintosh.

Nell'analisi degli ingredienti fondamentali allo sviluppo del genio,  Isaacson chiude così:  "è molto probabile che Cina e India sforneranno molti rigorosi pensatori analitici e tecnici di grande spessore. Ma non sempre l' innovazione nasce da gente brillante e istruita. Il vantaggio dell' America - se mai ce n' è ancora uno-è che potrà dare alla luce persone anche più creative e dotate di immaginazione. Persone che sapranno come collocarsi al punto di incontro tra le materie umanistiche e le scienze. Questo, come dimostra l' intera carriera di Jobs, è il segreto della vera innovazione."

Ecco, appunto, noi europei non siamo più neanche citati.

mercoledì 10 ottobre 2012

Quando ti licenza Briatore.

A differenza di Donald Trump, che negli anni si è modellata sulla testa quella che David Letterman definisce una marmotta, almeno i capelli sono ancora i suoi.
Certo,  i congiuntivi sono carenti, la mimica facciale si riduce a due espressioni (forse il botox?), e gli incitamenti,  che dovrebbero convincere i giovani a darsi da fare,  si aggirano sempre sul :"per lavorare con me ci vogliono due palle così!"
A dire la verità,  anche il gesto eloquente della mano nei confronti del malcapitato non evoca più di tanto la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, quanto un imperativo che vorrebbe imitare appunto quello di Trump:"You're Fired!"ovvero sei licenziato.
Sto parlando della versione nostrana di "The Apprentice", della programmazione Sky, visibile anche sul digitale terrestre. I partecipanti sono aspiranti manager, che dovranno organizzare una mostra o lanciare una nuova marca di caffè, sapendo che il premio finale sarà l'assunzione in  una azienda del "Bullonaire" (cit. Dagospia)
C'è da dire che i personaggi con più appeal dal punto di vista televisivo, sono forse quelli meno tagliati per fare i manager. Ma tant'è.
Briatore non dice: "Sei licenziato!", ma: "Sei fuori!", per non rigirare troppo il coltello nella piaga degli spettatori già troppo avviliti, per non simulare troppo la realtà.
 "Sei fuori!"in fondo,  è una di quelle frasi il cui senso cambia a seconda dell'intonazione, evocando il più divertente modo di dire romano " A Briatò, stai fori come un citofono!"


domenica 7 ottobre 2012

Anoressici sentimentali.


L'ha dichiarato recentemente Tiziano Ferro in una intervista: “Nella mia dieta, in questo momento, al primo posto c’è l’amore. Forse perché per tanto tempo ho sofferto di anoressia sentimentale”.

In un momento in cui, nella civiltà occidentale, le occasioni di contatto tra uomini e donne si moltiplicano, non solo nei luoghi di lavoro, di studio e di svago, ma anche nelle comunità d'incontro virtuale, esplode una pandemia che colpisce indiscriminatamente ad ogni età.

Come per chi rifiuta il cibo, l'anoressico sentimentale è qualcuno che ha individuato nell’amore la maggior fonte di sofferenza umana o, per via di traumi subiti personalmente,  e ha deciso di non soffrire mai più. Può essere stato un bambino deprivato di amore da parte dei genitori, o trattenuto dagli stessi in un rapporto a tratti seduttivo, a tratti rifiutante.  Altre volte, seppure cresciuto fiducioso e sereno, è incappato in lunghe sofferenze sentimentali in età adulta. Altre ancora, illuso di poter realizzare nel mondo imprese superiori alla media e deluso in profondità da questa aspettativa, rinuncia alla vita e fa pagare all’innamorato/a il prezzo di questa catastrofica delusione. In generale è un individio anestetizzato, che preferisce essere inseguito che inseguire, che preferisce vedere nell'altro la passione per ritagliarsi il ruolo dell'impassibile e dell'indifferente.

Non vi aspettate necessariamente un individuo solitario. All'apparenza la persona può essere socievole ed amante dei divertimenti, ma ogni qual volta si presenta il pericolo di amare, che giunge a turbare un modo di vivere regolato da abitudini e ritmi personali, rischiando di incidere l'armatura difensiva, le reazioni possono essere molteplici, e comunque esagerate. Taluni cadono in una profonda malinconia, altri in una rabbia cieca, altri ancora sviluppano una fredda razionalità che vede l'oggetto amato pieno di difetti e vizi, soltanto una fonte inesauribile di preoccupazioni. Tanto da punirlo, spesso, con la mancanza di attenzioni sessuali, che in realtà nasconde una incapacità di desiderio verso l'altro.

Dice lo psicoanalista Otto Kernberg:
In circostanze patologiche, come la patologia narcisistica grave, lo smantellamento del mondo interno di relazioni oggettuali può portare all’incapacità di desiderio erotico, accompagnata da una diffusa, non selettiva e perpetuamente insoddisfatta manifestazione casuale di eccitazione sessuale, o perfino dalla mancanza di una capacità di eccitazione sessuale.
Addirittura, care amiche, la corazza di un anoressico sentimentale potrebbe essere costituita da muscoli pompati ed attraenti. La virilità potrebbe essere esibita spudoratamente, a fronte di una carenza di desiderio.

Prima di parlare, in un'altra puntata,  dell'autismo sentimentale, una triste considerazione: la nostra condizione esistenziale è sempre più sdoppiata. Da un lato l'esaltazione della soggettività, dall'altro la voglia di esaudire innumerevoli desideri che comportano bisogni relazionali, ma che appaiono trappole da evitare.
Un cane che si morde la coda. Per fortuna Tiziano ce l'ha fatta.


Rosso relativo.














giovedì 4 ottobre 2012

Gufo protagonista.

(Illustrazione di Flavia Caracuzzo)


Ve lo ricordate Anacleto , il gufo scorbutico e irriverente del film Disney "La spada nella roccia?"
Per non parlare dell'esemplare bianco di proprietà di Harry Potter, ancora più famoso, se è vero che dopo l'uscita del romanzo migliaia di persone sono corse ad acquistare un rapace notturno da tenere come animale domestico.
E dire che in passato la suggestione che evocava il volatile era assolutamente infausta, richiamando l'oscurità, il malaugurio e morte. Si tramanda che la morte di Augusto e di Cesare furono preannunciate dal verso di un gufo, e il cristianesimo ha perseverato nell’associazione tra il gufo e gli spiriti malvagi, fino a ridurlo uno dei simboli di Satana; su una vetrata della cattedrale di Saint-Etienne, a Bourges, il demonio si palesa ad Adamo ed Eva sotto le spoglie di un gufo dalla testa umana, appollaiato sull'Albero della conoscenza.
Tuttora, in ogni regione italiana sopravvivono credenze e superstizioni: in Sicilia un gufo che canta presso la casa di un malato significa che costui morirà entro tre giorni e, se non ci sono infermi nella casa, annuncia che quanto prima uno dei suoi abitanti sarà colpito da tonsillite (chissà perchè proprio la tonsillite).
Sicuramente, però, il gufo da il meglio di sè nella tradizione magica, in quanto gli vengono attribuiti diversi poteri:  la visione notturna, la furtività, la saggezza, la telepatia nonché – per la sua vista notturna - la chiaroveggenza e la proiezione astrale. 
Io preferisco immaginarlo come simbolo della visione interiore e della chiarezza nei momenti cupi. Mi piace disegnato o trasformato in monili (possiedo degli orecchini), mi piacciono le sue fattezze tonde, ma non avrei mai cuore di accudirlo come un cane, tenendo pulcini e topi congelati in frigo per nutrirlo. Si, perchè al gufo il cibo levigato e pulito fa male, non consentendogli di produrre la "borra", un rigurgito dall'effetto purificante (per lui).










lunedì 1 ottobre 2012

Una pizza che è la fine del mondo!


Nelle varie alternanze, tra chiusure e trasformazioni,  del commercio romano al dettaglio, non sfugge la resistenza di due categorie di bottegai: i macellai ed i pizzicagnoli.

Da qualche anno, infatti, complice soprattutto la crisi, ma anche la più aggressiva presenza della grande distribuzione a ridosso degli  insediamenti abitativi, molti negozi aprono per qualche mese, poi cambiano gestione, finchè non arriva un cinese che vi si insedia stabilmente.

Nel corso degli ultimi anni abbiamo visto nascere e morire, in ordine rigorosamente cronologico:  jeanserie, negozi di informatica, negozi di telefonia, rivenditori di condizionatori e agenzie immobiliari, con la new entry di insegne "Compro oro" e "Vini sfusi".

Ma il macellaio romano non molla: coltellaccio in mano e capezza d'oro al collo, resiste,  nonostante la demonizzazione delle proteine animali e la concorrenza dei supermercati, perchè lui si attrezza: preparando piatti semipronti e gustosi per i bambini, offrendo una "bestia" (si esprime proprio così ) che viene da allevamenti certificati, consigliando la signora sul taglio migliore e via dicendo...

Ora passiamo ai pizzicagnoli. Rispetto a due generazioni fa, sono proprio in pochi. Parlo del tempo in cui la madre di famiglia andava all'alimentari tutti i giorni,  ma "segnava" (si diceva così per intendere che il bottegaio scriveva su un libricino l'importo della spesa giornaliera, che sarebbe stato saldato soltanto a fine mese - forse).

Il pizzicagnolo della mia infanzia era un battutaro implacabile e dai modi burberi, ma pronto, insieme alla  moglie e ai figli, ad avvolgere il cliente di cure premurose e di ascolto, svolgendo pure una funzione aggregante nel quartiere. Roba di cui si è persa traccia nel vortice della  GDO (Grande Distribuzione Organizzata).

Insomma, per quegli strani scherzi della memoria olfattiva, oggi ero in giro per commissioni, e sento lo stesso odore del forno dove andavo a comprare la pizza prima di entrare a scuola. Non era proprio lo stesso forno,  chiaramente, ma quel profumo fantastico mi ha invitato ad entrare.

In fila al bancone un paio di signore anziane, alla cassa un vecchino un po' sordo. Sento la voce squillante del giovane garzone che taglia la pizza, affabile e gentile: "Signora, la vuole come ieri? Bassa come me?" "Guardi, è appena uscita...croccantissima." "Soltanto due etti?" E poi, rivolgendosi dalla mia parte: "Signora, oggi abbiamo una pizza che è proprio la fine del mondo!"

Lo vedo spuntare dietro le teste delle anziane signore, piccolissimo di statura e scuro,  sicuramente peruviano. E penso che se lo dice lui, che è un possibile discendente dei Maya, oggi assaporerò la fine del mondo.









giovedì 27 settembre 2012

Quando la tartaruga è nel posto sbagliato.

Di un uomo palestrato e tonico, solitamente si dice che ha le spalle taurine e la tartaruga.
Ma, ahimè, la forza di gravità ed il tempo lavorano non soltanto per noi donne. E se è vero che per i cinquantenni una leggera pancetta e le rughe sul viso sono tollerate e in alcuni casi considerate elementi addizionali di fascino, se quella tartaruga non sta al posto giusto, e si sposta, mettiamo nel collo, sono guai.
Arnold Schwarzenegger, Michael Douglas, Sylvester Stallone, Dustin Hoffman, Bruce Willis. Sono alcuni dei divi che si sono sottoposti al riposizionamento della pelle del collo, per cancellare quelle antiestetiche grinze o la pappagorgia, a seguito del collo franato.
Vogliamo poi parlare della alopecia androgenetica? La calvizie, per intenderci. Per tanti che fanno della "boccia" addirittura un punto di forza (Jul Brynner, Jason Statham, Vin Diesel, Luca Zingaretti), quasi un simbolo di virilità, mi ha colpito la accorata confessione di Marco Masini, che è ricorso ad un trapianto di capelli artificiali, per ritrovare il suo appeal da adolescente (!)
Certo, a partire dai parrucchini di Cesare Ragazzi, di cui ricorderete i passaggi televisivi,  di strada se ne è fatta molta. Ma per chi non ha diecimila euro da spendere non rimane che il caro vecchio "riporto", così descritto in un trattato sulle metafore socio-percettive:


"Il riporto si forma nel tempo con l'abitudine di 'riportare' i capelli. Con l'espandersi della calvizie il riporto viene allungato fino ad attraversare la rosea sommità del capo con sottili striscie o con un velo vaporoso.
Il riporto non sostituisce i capelli perduti. Infatti si vede benissimo che il riporto non sono capelli. Non è un falso come la parrucca o il toupet. Il riporto mostra chiaramente che la persona è calva.
Il riporto non sostituisce, copre parzialmente alla vista. Il riporto è considerato socialmente come 'capelli'.
Finché il codice sociale riconosce il riporto come 'capelli', esso non appare inutile e il mascheramento viene accettato: la persona non è calva.
Tuttavia il riporto sta passando di moda perché si sta dissolvendo il codice sociale che finge che sia uguale a 'capelli'. Nel momento in cui il riporto non viene più considerato 'capelli' il mascheramento non tiene più. La persona è calva e in più diventa evidente il goffo tentativo di copertura. Tanto che oggi si preferisce mostrare la calvizie piuttosto che il riporto."


mercoledì 26 settembre 2012

C'è sempre di peggio.


Noi, che stiamo sempre a lamentarci del Trota, che siamo così disgustati dagli atti di nepotismo a cui assistiamo quotidianamente, possiamo provare sollievo, per una volta,  puntando lo sguardo a quello che succede in altre parti del mondo.

Nella ex repubblica socialista sovietica dell'Uzbekistan, per esempio, se sei figlia del Presidente, non solo puoi aspirare ad una carica politica o diplomatica, ma puoi fregiarti di varie competenze , da imprenditrice a professoressa, da fashion designer a filantropa.

In questa ultima veste puoi anche fondare un associazione , e mettere in atto un piano che promuove matrimoni e circoncisioni di massa, per venire incontro ad orfani e coppie a basso reddito e restituire credibilità ad un regime che Amnesty International riconosce come tra i peggiori al mondo per violazione dei diritti umani, per la censura, l'uso della tortura e della persecuzione religiosa. Peccato che alcuni pensionati non abbiano potuto ritirare la loro unica fonte di reddito,  perchè i  soldi erano stati impiegati a tale scopo.

Ma non è finita qua, perchè Gulnara Karimova, in arte Googosha, a 40 anni aspira a diventare anche una icona pop. E il papà, intenerito, ha cercato di assecondare al meglio il capriccio musicale della figlia, assumendo un famoso regista russo per realizzare i video, truccatrici di fama per esaltare la bellezza matura della signora, pagando per avere schermate di siti web dove si dichiara che il disco "Round Run" è stabilmente tra le prime cinque canzoni ascoltate nelle discoteche Usa. Tutto platealmente falso, ma forse in Uzbekistan non si verrà mai a sapere.
Eccolo il video, neanche troppo brutto:

Round Run video.


sabato 22 settembre 2012

I vampiri emotivi.

Nono, non dovete immaginare location tenebrose, castelli, lupi, pipistrelli.
Nè volti emaciati,  canini aguzzi e lunghi mantelli.
Il vampiro emotivo non vi lascerà alcun forellino sul collo, ma solo confusione o spossatezza.
Potrebbe essere il vostro collega d'ufficio, apparentemente gentile o protettivo, oppure quella che si definisce la vostra migliore amica, onnipresente ed attenta. Peggio ancora, potrebbe essere il vostro fidanzato.

Questo tipo di vampiro non è un morto, ma un non-vivo. Una persona priva di una sua vitalità, di una  vita emotiva ed affettiva. Una persona che necessita dell'energia altrui per sentirsi viva e progettuale, escogitando tutti i mezzi per succhiarla,  come il vampiro aspira a nutrirsi del sangue della sua vittima.

Cercherà di affascinarvi, circuirvi, blandirvi, per poi magari instillarvi un senso di colpa e di inadeguatezza per quello che non potete offrire, di solito attenzioni e cure continue per qualsiasi motivo.  Non vi mollerà facilmente e vi "prosciugherà", non regalandovi niente in cambio e facendo strage del vostro sorriso. Non solo: ogni volta che proverete a distaccarvi  si dichiarerà addolorato e deluso, cercando di insinuare il dubbio anche nella personalità più solida ed incrollabile.

Ma il vampiro esiste perchè esiste una vittima "vergine" che per fortuna,   nella migliore tradizione cinematografica, prima o poi  sfuggirà al suo carnefice,  brandendo un crocefisso od un paletto di frassino per colpirlo al cuore.
Prima di arrivare alla depressione e all'angoscia che questo tipo di relazione genera, tenterei però di rifuggirla.

Capisco che riconoscere un vampiro emotivo non è facilissimo, ma dobbiamo allenarci a farlo.
Per quello che mi riguarda, il più detestabile è quello paranoico:  prende tutto sul personale e nulla gli accade per caso, perchè tutto il mondo cospira contro di lui!

Al secondo posto metterei, scomodando la psicologia, i vampiri bipolari, che oscillano spesso tra euforia e depressione; quando sono euforici si dedicano ad altro, quando sono depressi vi danno la colpa di quello che gli accade. Insopportabili anche per donne dedite alla salvezza del mostro.

Per finire, ricordiamoci che i vampiri hanno bisogno di un invito per entrare, come esplicitato  nel titolo del bellissimo film di Tomas Alfredson, " di cui cito una frase: Oskar: Sei molto vecchia ? Quanti anni hai? Eli:Ho dodici anni ma li ho da un sacco di tempo.






mercoledì 19 settembre 2012

Le isole dell'immondizia.


Ora che ho a che fare con la  discarica ( Discarica si o no), e sto cominciando a documentarmi sull'immondizia in giro per il mondo, capisco che il problema non è di facile soluzione, a meno di investire in un reale progetto basato sul riutilizzo e sul riciclo, soprattutto della plastica.

Avevo sentito parlare del Pacific Trash Vortex, l'enorme isola di detriti derivati dalla plastica,  grande come la superficie degli Stati Uniti. Praticamente una immensa discarica, che si è formata in seguito al trasporto di immondizia da parte di una lenta corrente oceanica che si muove a spirale.

Anche la splendida ambientazione delle Isole Maldive non è indenne da problemi: quella che doveva essere la discarica dei soli 300mila abitanti maldiviani, raccogliendo tutta l'immondizia prodotta dai circa 10.000 turisti che ogni settimana sbarcano a Malè,  è diventata presto l'isola dei rifiuti più grande dell'Oceano Indiano e cresce un metro quadrato al giorno.

Perfino in Giappone, paese modello per il riciclo, non si sa più dove buttare l'immondizia, dopo averla usata  per costruire piattaforme (su una di queste è stato innalzato l'aeroporto).
Si assiste addirittura ad un fenomeno inquietante: i corvi, attirati in grosso numero dalla sporcizia,  hanno cominciato a popolare campagne e città,  nutrendosi di ogni cosa sembri loro commestibile, che sia viva o morta poco conta,  arrivando addirittura ad uccidere galline domestiche.

Un esempio positivo viene invece da Richart Sowa, detto Rishi, artista e ambientalista inglese,  che imitando i vip che tentano di accaparrarsi un proprio angolo di paradiso, acquistando isole nelle migliori location del mondo, si è costruito la propria piattaforma galleggiante,  utilizzando materiali di riciclo, primo fra tutti vecchie bottiglie di plastica, per la precisione 250.000.

Nel Maggio 2011 Rishi ha ancorato la propria isola nelle acque di Isla Mujeres Bay, in Messico.
Il Governo l’ha classificata come “Eco Boat” rendendola soggetta a tutte le certificazioni necessarie per le imbarcazioni. Spiral Island è oggi un’attrazione per i turisti che si trovano nei pressi di Cancun che non rinunciano ad incontrare Sowa per visitare il suo paradiso personale.

Chissà che non possa costruirmi la mia personale isola di immondizia, ancorata a Fiumicino. Attendo adesioni.

lunedì 17 settembre 2012

Poveri morti e cannibalismo.

Gironzolando per casa con la radio accesa, sintonizzata su una emittente romana, mi capita di ascoltare uno spot su un servizio "low-cost".
Ma questo non sarebbe un problema, visto che in tempo di crisi la maggior parte dei messaggi pubblicitari sono basati proprio sulle parole "risparmio, occasione, offerta,  promozione, sconto".
Incuriosita, vado a vedere il sito dell'azienda in questione, e mi appare uno slogan: "Il pagamento sarà l'ultimo dei tuoi pensieri".  Leggo ancora: auto + feretro + composizione floreale con nastro e dedica = da Euro 1.390, con possibilità di accedere a varie formule personalizzate.
Si parla di funerali, certo. E non dovrei essere così colpita, nè scandalizzata.

Sono andata addirittura a rileggermi un po' di  Freud, che nel suo "Totem e Tabù" identifica il culto dei morti tra le regole rituali più importanti della società evoluta,  insieme al trattamento dei nemici e il rapporto con il potere (capi, sovrani). Il mio atteggiamento,  secondo Sigmund, in poche parole deriverebbe dal rifiuto per la morte, che mi spingerebbe a coltivare sensi di colpa nei confronti dei defunti.
E allora mi spingo ad immaginare un mondo, paventato già da illustri scienziati,  in cui non esistano più risorse energetiche, ed il cibo diventi insufficiente per sfamare l'intera umanità.
Come già avvenuto in altri periodi storici,  la carestia spingerebbe forse ad episodi di cannibalismo?

Se pensiamo al mondo animale, il fenomeno  è comune: le ragioni risiedono, oltre alla scarsità di risorse alimentari, anche nella necessità  di eliminare giovani imperfetti che trasmetterebbero alla specie un patrimonio genetico inadatto, oppure per eliminare la discendenza che la femmina ha avuto da un differente maschio, imponendo la propria.

L'ultimo episodio che ricordo, per quanto riguarda gli esseri umani, è la sconvolgente pratica diffusa per qualche anno in Corea, dopo l'arrivo al potere di Pyongyang, nel 1994.

Là venivano uccisi soprattutto bambini, venduti come carne da mangiare.

Certo, i vecchietti sono meno teneri...

















giovedì 13 settembre 2012

WeBBufale.


Surfando tra portali on-line e quotidiani cartacei,  mi sta capitando di leggere sempre più spesso di inquietanti truffe che si moltiplicano nella Rete a danno di ignari utenti, tant'è che gli americani, per loro natura un po' paranoici,  stanno  pubblicando veri e propri vademecum per difendersi, oltre a sviluppare  algoritmi  (l'ultima ricerca  è quella della Cornell University) per identificare le recensioni fasulle.

A chi non è mai capitato di andare a guardare i giudizi lasciati on line dagli altri acquirenti, prima di comprare un determinato modello di lavatrice, o il numero di stellette  su ristoranti e alberghi nel portale di Trip Advisor?

Bene, considerate che, siccome tutto ha un prezzo, una recensione entusiastica si può comprare a circa 80 euro. Se vi occorre poi lanciare un libro (aprite le orecchie amici scrittori) e non avete canali distributivi di altro genere, potete sempre contare in un "pacchetto" di 20 recensioni positive per 400 euro.

Volete 10.000 fan su facebook? 180 euro. Volete spendere di meno? Accontentatevi di 50.000 finti followers su twitter, al modico prezzo di 20 euro.

Secondo un sondaggio di tre anni fa, internet risultava al primo posto come credibilità di giudizi, seguito dalla televisione e dai giornali.

Ma come dice il vecchio proverbio: fatta la legge (la Rete siamo noi utenti),  trovato l'inganno (creiamo tanti utenti falsi per giudizi da mettere in Rete).

Non fasciamoci la testa, però. Visto anche che il presunto anonimato che il web sembra regalare, non è propriamente al riparo da verifiche, e quando navighiamo lasciamo tante tracce del nostro comportamento,  secondo me possiamo utilizzare degli accorgimenti: ogni volta che vado a leggere la recensione di un ristorante, sto attenta a vedere i commenti postati, il numero, ecc.

Attrezziamoci ed affiniamo il nostro criterio di giudizio per continuare ad usare uno strumento così importante come il Web USG (User Generated Content - dai contenuti creati dagli utenti - ), e secondo me non ce ne pentiremo.










lunedì 10 settembre 2012

Sballare per ballare.


Leggo che stanotte a Roma c'è stata un'  operazione della polizia per sgominare un'organizzazione specializzata nello spaccio di Shaboo, con l'arresto di 4 italiani e 13 filippini.
Lo  Shaboo, il cui nome scientifico è cloridrato di metamfetamina, 10 volte più potente della cocaina, veniva anche  recapitato  a domicilio, ed i proventi dell'attività venivano investiti direttamente nelle Filippine.

Ho rammentato quando, negli anni '70, sedicenne, vidi uscire un ragazzo,   che mi piaceva tanto, dal bagno di una discoteca all'aperto, con un laccio al braccio.  Capii che si era fatto l'eroina, e mi spaventò molto l'idea che non gli importava nulla di farsi vedere, che il "buco" in quel momento contava più di ogni cosa.  Si, perchè allora gli eroinomani erano quasi un clan segreto,  additato anche tra chi usava  marijuana ed alcool.

E tra la fine degli anni '80 ed i primi del '90 l'eroina segnò irrimediabilmente chi ne aveva fatto uso, anche tra le persone che conoscevo: qualcuno perse i denti, qualcuno divenne portatore sano di epatite, qualcuno si ritrovò a fare i conti con lo spettro terribile dell'HIV.

Ed è anche allora che cominciò  a prendere forma  la light generation. Leggera perché priva di consistenza, per il rifiuto di  ogni impegno, perché è fatua, frivola, volubile, condizionabile, debole, superficiale.

I giovani che prendono lo Shaboo, od altre droghe sintetiche, appartengono per lo più  alla borghesia e usano le droghe per amplificare il piacere, o per surrogarlo dove non c'è,  diventando funzionali al mantenimento di una  rappresentazione della  vita che trae spunto dalle finzioni televisive o virtuali.

Le nuove droghe chimiche si muovono con leggerezza, si insinuano nelle abitudini dello sballo del fine settimana, quando i giovanissimi entrano in discoteca all'una di notte per uscirne soltanto la mattina, quando si deve affrontare il gruppo in maniera disinibita, quando si deve trasgredire in maniera "pulita": questi piccoli cristalli bianchi, considerati una  "droga etnica", sembrano così innocui, ma provocano eccitazione, insonnia, allucinazioni, istinti suicidi e omicidi.

Quando Grillo faceva soltanto il comico, raccontò una cosa che mi fece  molto ridere, di un padre che diceva alla figlia: " Invece che chiedermi di partecipare ad Amici (la trasmissione televisiva) , non ti potevi drogare come tutti gli altri?" A me sembra che tra i giovani d'oggi una cosa non escluda l'altra.


venerdì 7 settembre 2012

Spossante ritorno di Batman.

Da quando ero ragazzina e mi capitava di leggere i fumetti,  mi piace Batman: un perfetto eroe dark e solitario.
Mi piace tanto anche Christian Charles Philip Bale,  che in questo ultimo film della trilogia lo interpreta ancora una volta ottimamente,   incarnando l'immagine di uno di quegli uomini che invecchiando migliora.
Interessante la contrapposizione con un cinico e crudele personaggio seminascosto da una maschera, che di fatto vive nelle fogne di Gotham City, città apparentemente tornata tranquilla, ma in preda ad una corruzione ed una violenza strisciante e pericolosa.
Belle e brave  le stelle femminili,   ed un debito di riconoscenza particolare al delizioso (invecchiato pure lui) Michael Caine.
Che dire poi delle scene d'azione del Ritorno del Cavaliere Oscuro? Spettacolari, indubbiamente,  ed intelligentemente unite a riflessioni sull'umanità che ci riportano alla vita reale, alla voglia di riscatto, al desiderio di vendetta, alla lotta per un ideale. Il tutto raccontato in maniera non banale.

Ma, porca miseria, arrivare all'ultimo colpo d'ali di pipistrello, dopo due ore e quarantacinque, è veramente spossante.
Non ho più l'età, o forse è proprio Nolan che inserisce troppi elementi e troppe vicende in un unico film.  Inception mi fece un effetto sicuramente peggiore: dopo sessanta minuti dormivo.


mercoledì 5 settembre 2012

Sfumature nostalgiche.


Non ho proprio voglia di leggerlo "Cinquanta sfumature di grigio",  perchè mi è bastato pizzicare qua e là tra commenti (di amiche)  e recensioni per capire che  mi annoierei, come in genere mi annoia la pornografia,  soprattutto quando ha l'ambizione di diventare opera , prodotto di culto.

Ho ascoltato invece l'intervista all'autore di "Cinquanta sfumature di minchia", Ottavio Cappellani, che ha avuto l'idea di scrivere un'antiromanzo sul tema,  e sta tallonando l'originale nelle classifiche di vendita online.

Cappellani, ironicamente,  sostiene che le  femmine sicule, frustrate dalla loro condizione tuttora subordinata rispetto ai loro uomini ,  si sono invece scoperte di gran moda,  se paragonate alla protagonista femminile,  asservita completamente alle voglie e alle fantasie del maschio dominatore.

Non a caso proprio nel mio ultimo post parlavo di questi maschi sempre più femminilizzati, metrosexual, che si depilano,  che se non stanno a casa con i genitori fino a quarant'anni, ad un certo punto si fanno scegliere da una compagna, di solito più affidabile e decisa di loro per molti aspetti pratici.

Non vorrei  che la carenza di uomini " normali" stia portando le donne verso derive e sfumature nostalgiche:

"L'uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero: tutto il resto è sciocchezza. Al guerriero non piacciono frutti troppo dolci. Perciò gli piace la donna; anche la donna più dolce è amara."  Friedrich Nietzsche





domenica 2 settembre 2012

Una delle rare prove dell'esistenza di Dio!


Ve lo ricordate "Borotalco", di Carlo Verdone? Ve lo ricordate il dialogo tra le due ragazze su chi fosse l'attore  più sensuale di tutti i tempi?

Nadia: Ma Burt è troppo buro! Forse meglio Redford. Me sembra un po' più tenero, più dolce.
Valeria: No, io dico Burt! Poi secondo me c'ha pure più sesso. Ma l'hai visto in costume da bagno che dè? È una delle poche prove dell'esistenza de Dio! Fatte servi'! 

Ed eccolo Burt nudo. 

 
 Villosetto, direi, come lo era  anche Robert Redford.

L'altro giorno sono andata in un negozio di elettrodomestici ad acquistare un banale regola-barba  per il mio fidanzato. 

Il commesso, zelante, dalle perfette sopracciglia disegnate ad ali di gabbiano ed un paio di basette scolpite al millimetro, con aria competente mi ha mostrato la vetrina dedicata alla depilazione maschile, esaltando particolarmente il rasoio elettrico adatto per la depilazione dell'intero corpo, ricaricabile ed impermeabile,  a suo dire il migliore strumento per le parti delicate, per definire,  per sfoltire, ecc.

Ed ho provato un po' di tenerezza,  per questi uomini diventati schiavi, pure loro, della loro immagine. Preoccupati del fatto che un pelo possa gettare ombra sul loro pettorale faticosamente pompato,  o che possa rivelare, crescendo o cadendo, il passare del tempo. 

Noi donne ci siamo esercitate da sempre all'esposizione e al giudizio del mondo,  ma ora che  la definizione, la patinatura, è diventata quasi  una esigenza sociale, anche gli uomini si appropriano rapidamente di tutte quelle tecniche che ci hanno permesso di migliorare la nostra immagine.

E devo dire che alcuni,  con quelle pinzette per le ciglia,  ci sanno proprio fare!


Illustrazione di Giancarlo Caracuzzo



mercoledì 29 agosto 2012

In memoria di nonno Antonio (lotterò contro la discarica).



Nonno Antonio non l'ho mai conosciuto, sono nata solo dopo qualche anno che lui se n'era andato, per una banale (oggi) ulcera perforante, mal curata.

Tra i tanti flash della mia infanzia il frontespizio della casa colonica dove sono nata (mia madre fu aiutata da una levatrice ungherese, la quale si indignò sapendo che i miei mi volevano chiamare Rosalba e stabilì che dovessi essere Katia).

La casa fu assegnata a mio nonno nel 1954, insieme al terreno : c'era scritto “Podere Sant'Antonio”, come stabiliva il capitolato dell'”Ente Maremma” che intitolava ciascuna abitazione al nome di un santo.



Nonno fece costruire il casale sotto la collina, per poter usufruire delle sorgenti di acqua potabile e poter disporre di un fontanile già esistente, risalente al 1.700, che poteva essere usato sia per abbeverare il bestiame che per l'irrigazione dei campi; faceva il guardiano a cavallo in quel latifondo e lo conosceva come le sue tasche.

La nostra proprietà confinava con quella di un coltivatore ed allevatore di cavalli, era bello vederli scorazzare al di là della palizzata, a poche centinaia di metri da casa nostra, fino a qualche anno fa. Ogni tanto, Dio ci perdoni, ci lamentavamo del fatto che i cavalli attirassero le mosche.

Ora il ventre di quello stesso terreno viene preparato ad arte, e dal fetore che si avverte raccoglie già notevoli quantitativi di immondizia e acque inquinate. Gli unici animali presenti sono i gabbiani che volteggiano, gridano e poi planano, in un inquietante carosello di morte.


sabato 25 agosto 2012

Il bello del brutto.



Dopo una settimana a zonzo nell’elegante Provenza, qualche pensiero da condividere con voi.
Ho  visitato il Luberon, sulle tracce delle location utilizzate per  “Un’ottima annata”,  tra vigneti e paesini deliziosi,   marmellate all’albicocca  e burro fatto in casa,  tessuti fiorati, lavande ed erbe odorose,  sfumature di ocra e lilla, verde e arancio. Gente orgogliosa ma cordiale,  riservata ma  disponibile.  Ho visto belle mamme e bei papà, con quattro figli al seguito,  tre biondi ed educatissimi, uno dalla pelle color dell’ebano,  che con voce sommessa chiedeva,  attirato dai sassolini nel cortile del bar: “Maman, je peux me lever ?"
L’unica nota stridente, in tutta questa bellezza, proveniva dalla visita al manicomio dove è stato internato Vincent Van Gogh. Il cruccio derivava dal fatto che la sua mente non avesse fatto tesoro di quella natura  e quella luce,   in una deriva inarrestabile verso la follia che lo portò al suicidio.
Ho percorso poi altri 600 chilometri in auto, ammirata per i paesaggi che si snocciolavano davanti a me,  dalla Camargue al Perigord,,  ho  sfiorato la cittadina di Bergerac, quella di Cyrano e dell’apostrofo rosa, e poi sono  arrivata a Bordeaux, lasciando l’auto nei pressi della stazione.
Ed è stato proprio là che ho ripensato alla “Storia della bruttezza” di Umberto Eco, in cui lo scrittore analizza  gli esempi letterari ed artistici che  ci hanno attirato e spaventato, in quanto “brutti”.
Ci sono molti immigrati a Bordeaux,  e se ti siedi ad un bar di Rue des terres de borde, di fronte ad un marinaio corpulento e affascinante, con le unghie sporche ed una Gitanes tra le dita,  capirai perché Marine Le Pen ha avuto un grande successo da queste parti, come l’ha avuto tra le charmant signore provenzali, che difendono il loro “bellismo” a spada tratta.
Dopo qualche ora, fortunatamente,  mi sono ritrovata di nuovo sedotta dal freak, riscoprendo il suo implicito ma palpabile legame col bello. Anche questa volta sono salva.

giovedì 16 agosto 2012

Agosto, moglie mia divento losco.



Passati i tempi in cui la famiglia partiva per un intero mese, magari portandosi dietro anche la suocera, ed il maschio italico, condannato a restare in città per lavoro, aveva la possibilità di "relazionarsi" e di conoscere altre donne,  magari belle, procaci e ammiccanti, sul modello di «Quando la moglie è in vacanza»,  le scappatelle extra-coniugali sono ormai a portata di click ,  in un fiorire di siti che mettono in connessione signore sposate, toniche di palestra e fresche d'estetista,  con altrettanti uomini traditori seriali.

E a sorpresa si apprende che la città che va più a caccia di scappatelle è Napoli seguita, a distanza, da Roma e Milano, che la fascia di età più interessata  è quella tra i 35 e i 45 anni, che il tradimento ideale, per chi si registra su uno di questi siti,  rimane quello in cui ciascuno dei due amanti ha una sua vita sentimentale e in cui nessuno dei due vuole rompere il rapporto di coppia preesistente.

Si, perchè ormai si tende ad una sorta di rassegnazione passiva di fronte al tradimento, che molti vedono come quasi inevitabile dopo molti anni di matrimonio.

«Emergono sempre più crisi coniugali», spiega il presidente dell'Ami, Gian Ettore Grassani «che, pur essendo caratterizzate da continui tradimenti da entrambe le parti, non sfociano in rotture definitive. Sono i cosiddetti "separati in casa", una situazione che riguarda migliaia di coniugi italiani che vivono come coinquilini nello stesso appartamento per non dover affrontare una costosa separazione».

Insomma, si accetta il tradimento e si resta insieme per non ritrovarsi poveri tutto d'un colpo. E anche questo è un segno dei tempi. Di recessione.