Nonno Antonio non l'ho
mai conosciuto, sono nata solo dopo qualche anno che lui se n'era
andato, per una banale (oggi) ulcera perforante, mal curata.
Tra i tanti flash della
mia infanzia il frontespizio della casa colonica dove sono nata
(mia madre fu aiutata da una levatrice ungherese, la quale si
indignò sapendo che i miei mi volevano chiamare Rosalba e stabilì
che dovessi essere Katia).
La casa fu assegnata a
mio nonno nel 1954, insieme al terreno : c'era scritto “Podere
Sant'Antonio”, come stabiliva il capitolato dell'”Ente
Maremma” che intitolava ciascuna abitazione al nome di un santo.
Nonno fece costruire il
casale sotto la collina, per poter usufruire delle sorgenti di acqua
potabile e poter disporre di un fontanile già esistente, risalente
al 1.700, che poteva essere usato sia per abbeverare il bestiame che
per l'irrigazione dei campi; faceva il guardiano a cavallo in quel
latifondo e lo conosceva come le sue tasche.
La nostra proprietà
confinava con quella di un coltivatore ed allevatore di cavalli, era
bello vederli scorazzare al di là della palizzata, a poche centinaia
di metri da casa nostra, fino a qualche anno fa. Ogni tanto, Dio
ci perdoni, ci lamentavamo del fatto che i cavalli attirassero le
mosche.
Ora il ventre di quello
stesso terreno viene preparato ad arte, e dal fetore che si avverte
raccoglie già notevoli quantitativi di immondizia e acque
inquinate. Gli unici animali presenti sono i gabbiani che
volteggiano, gridano e poi planano, in un inquietante carosello di
morte.