giovedì 29 novembre 2012

Rivoluzione Millennials: dall'io al noi.

E' un fenomeno che a casa dei miei è sempre esistito. Mia madre faceva la sarta e spesso le venivano richieste dalle vicine di podere agricolo piccole riparazioni (orli, abiti da stringere, maniche da accorciare).
Lei non chiedeva soldi, ma la signora interessata non arrivava mai a mani vuote, portando, a seconda  della stagione e della disponibilità , caffè, pane fatto in casa, prodotti dell'orto, formaggio, carne.
Scopro ora che il baratto torna a esercitare un fascino irresistibile e che fa moltissimi proseliti tra i giovani. Il perchè probabilmente risiede nel fatto che lo scambio è un gesto semplice, ma che ha una grande modernità nel momento in cui, come ora, gli oggetti accumulati sembrano così inutili rispetto ai legami umani. E paradossalmente alcuni oggetti o prestazioni acquistano o riacquistano valore nel momento in cui qualcun'altro li apprezza e li condivide.
In fondo, fin da 7 mila anni fa, quando sono nate le città, la condivisione è stata uno dei principi di base della vita urbana. Negli ultimi decenni, complice il benessere,  avevamo un po' rimosso il desiderio di stare insieme, fino a quando l'egoismo ha mostrato tutti i suoi punti deboli, rendendoci più soli, fragili, lontani.
I più giovani di oggi, i Millennials, hanno cominciato a condividere prima la Rete (pensiamo ai social network o a Wikipedia), poi, intravedendo la convenienza e l'opportunità di attuare idee ed obiettivi in comune, hanno spostato l'attenzione sullo "sharing" a tutto tondo: chi scambia un posto in casa, chi un passaggio in auto, chi crea biblioteche condominiali prestando i suoi libri , chi mette in campo competenze tecniche ed artistiche.
Considerando gli indicatori tradizionali dei consumi,  i Millenials, nati tra la fine degli anni novanta ed il duemila,  negli Stati Uniti consumano addirittura meno della generazione venuta fuori dalla Grande Guerra, che dovette tirare la cinghia per ristabilire ordine e prosperità, tanto che vengono definiti la "Cheap Generation". Questi ragazzi non comprano macchine e nemmeno case. Cercano di acquistare mobili, elettrodomestici e libri in comproprietà. Organizzano cene in mense itineranti o clandestine.
Il fenomeno rischia di mettere in crisi i piani di sviluppo ed il modello (consumistico) degli Stati Uniti.
Che invece di manifestazioni di piazza e proteste contro il sistema, sia questa la più grande forma di rivoluzione possibile? Io faccio il tifo, e mi adeguo.

Parola d'ordine: condivisione.



domenica 18 novembre 2012

L'abusivo aggressivo.

Il parcheggiatore abusivo minacciava l'automobilista.

La notizia non mi lascia assolutamente stupita, anzi, mi porta alla mente un episodio simile: una decina di giorni fa io ed il mio compagno avevamo parcheggiato sul Lungotevere, quando si è avvicinato un tipo che, con marcato accento napoletano ha esordito: "Dottò, state attento, c'è gente che sfascia le macchine..." Il tono era mellifluo ed allo stesso tempo minaccioso, quello tipico di alcuni avvertimenti mafiosi. La risposta è stata adeguata, ed il tipo si è immediatamente volatilizzato.

Non giudicatemi perciò politicamente scorretta quando dico che questi episodi non sono che il picco di una serie di piccole vessazioni che quotidianamente ci vedono protagonisti, noi cittadini che abbiamo già il nostro da fare per sopravvivere nella giungla della grande città.

Ogni giorno ormai capita  di inciampare in un punkabbestia ubriaco che si sdraia sulle scale del parcheggio,  di assistere alla pipì di una homeless mentre mangi un panino nel bar davanti all'ufficio, di pagare oboli per canti balcanici nel tragitto del tram quando non ne hai proprio voglia.
Per non parlare di simpatici e insistenti giovanotti di colore che non ti mollano finchè non compri il loro libretto di poesie africane, o ancora di quello stuolo di asiatici che lanciano in aria inutili quanto pericolosi giochini luminosi,  che cercano di venderti per forza rose o improbabili pupazzetti. E i rom che ti puliscono il vetro dell'auto?

Sappiamo che l'aumento di questa varia umanità denuncia uno stato di degrado del vivere sociale civile, e che i problemi di marginalità o di disperazione economica possono costringere a non avere alternative. E di sicuro non è con la forza delle ordinanze che si potrà risolvere la situazione, se guardiamo anche a Paesi che hanno affrontato la questione prima di noi.

In Francia, a Parigi,  i clochard sono cinquemila, e un francese su due teme di finire in strada, non per uno sfizio romantico, ma per l'incombere delle difficoltà dovute alla crisi, che spesso spingono anche i lavoratori poveri nei luoghi di distribuzione di pasti caldi.
Hollande promette di rilanciare l'edilizia popolare costruendo 150 mila alloggi l'anno e favorendo il ritorno all'impiego di muratori, elettricisti, falegnami, idraulici.

C'è da dire che dall'inizio dell'anno a Parigi sono morti almeno 274 clochard, per mano di estremisti e teppisti, o per litigi tra alcolisti, o tra bande che si contendono spazi di accattonaggio .
Una goccia nel mare, ma la disoccupazione e la recessione non faranno che peggiorare certe tensioni. Sarà bene attrezzarci.






sabato 10 novembre 2012

Sushi, arte e dedizione.

Premetto che non sono una patita del sushi, al quale preferisco di gran lunga una frittura di paranza o un piatto di spaghetti con le vongole, ma sono rimasta veramente impressionata da un documentario sul personaggio considerato il più grande maestro al mondo nel campo, tale Jiro Ono.

In tv, ormai,  passano innumerevoli versioni di programmi in cui si assiste alla preparazione di cibi, più o meno raffinati, con lo chef di turno che spiega tutti i passaggi per ottenere un buon risultato, per gli occhi ed il palato. Ma in questo caso è diverso, perchè assistere alla giornata tipo di questo giapponese ottantacinquenne, proprietario di un piccolo ristorante da 10 posti, a Tokyo, con prenotazioni per mesi da tutte le parti del mondo , ti fa cadere in una sorta di fascinazione.

Jiro può insegnarci diverse cose, perchè ama profondamente il suo lavoro, e la cura che mette in tutto quello che fa mira ad accrescere la sua onorabilità. Noi tendiamo, in genere, a parlare di lavoro che appassiona o di lavoro che fa guadagnare.  Lui dice invece: amate il vostro lavoro.

Il sushi è sicuramente un pasto minimalista, ma Jiro non fa come in altri ristoranti, che arricchiscono il menu con altri piatti. Lui prepara, assistito dal figlio,  solo sushi di elevatissima qualità, circa 20 pezzi per persona, alzandosi alle quattro di mattina per andare al mercato del pesce a scegliere personalmente il prodotto migliore. Al cliente chiede solo di fornirgli qualche dettaglio, tipo il  piatto che preferiscono e se sono mancini.

Jiro era povero, ma la dedizione ed il sacrificio lo hanno ripagato. E vederlo lavorare il pesce in maniera così sublime ci fa capire che il talento può essere una componente del lavoro, ma non l'unica. Perchè il talento da solo non basterebbe.





mercoledì 7 novembre 2012

Grey panther, You can, again!



Che dire. Ascoltare Mr Obama nel giorno della sua vittoria ci ha nuovamente emozionato.  Anzi, rispetto a quattro anni fa abbiamo provato anche un po' di invidia,  nel constatare che nonostante la terribile crisi che anche gli States stanno attraversando, rimane inalterato nel popolo americano un forte desiderio di appartenenza, una coesione, che fa ancora credere nell'"American Dream", nella possibilità di riscatto,  partendo da ogni condizione sociale e da ogni età.
Ed è proprio qui che volevo andare a parare, dopo aver letto qualche stralcio del nuovo saggio di Federico Rampini,  "Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo" - manifesto generazionale per non rinunciare al futuro -  dove per noi s’intende l’immensa platea occidentale dei baby boomers diventati appunto pantere grigie alla soglia dei cinquantanni ed oltre. Perchè nella società americana non sempre questi individui sono considerati articoli da rottamare a breve, nè tantomeno bieco ostacolo alla legittima voglia di realizzazione delle giovani leve.
 Perchè è vero che non dovremmo sottrarci alla condizione esistenziale della vecchiaia,  nè arrabbattarci in goffi e patetici tentativi di emulazione nei confronti delle nuove generazioni, ma se siamo in buona salute e abbiamo ancora delle carte da giocare, con la possibilità di sviluppare nuove relazioni o di soddisfare le nostre aspirazioni culturali e lavorative oltre una certa soglia anagrafica, dobbiamo per forza considerare questo una colpa?
 Mi ha fatto sorridere la testimonianza di un tale Michael Winerip che scrive così sul blog del New York Times:
«Stavo per chiamare il Telefono Amico e avvisarli degli abusi (in ambito lavorativo) subiti dai miei figli, ma il mio cellulare non funzionava. Allora ho chiesto ai miei figli uno dei loro telefonini: so che funzionano bene visto che glieli ho pagati io. E non ho avuto difficoltà a contattarli: vivono tutti in casa mia. Già, sono loro la Generazione Millennio che io starei derubando del suo futuro. Non solo vivono in casa mia e mangiano a casa mia, ma guidano automobili che ho comprato io e vanno all’università perché la retta la pago io».
Dice Gad Lerner: " L’Italia fanalino di coda della demografia e del debito pubblico diviene  nel  saggio di Rampini un potenziale laboratorio sociale di iniziative dal basso che suppliscono alla ritirata dello Stato e dei privati. Il paese ideale per vivere la riscossa dell’Età del Bis, coltivandone le vocazioni. Senza avere paura degli orologi". Pantere grigie, all'arrembaggio!

venerdì 2 novembre 2012

Antipatia, portami via...

La fisiognomica ci dice che antipatici si nasce: questione di tratti somatici - ad esempio naso aguzzo e occhi un po’ obliqui pare non trasmettano simpatia - ma antipatici soprattutto si diventa per l'atteggiamento nei confronti del mondo, a volte per aiutare snob e timidi a sentirsi meglio nei loro panni.
Oriana Fallaci già nel 1963 ci costruì un libro dal titolo esplicito "Gli antipatici", in una inchiesta che raccoglieva interviste con le star più celebri di quei tempi, svelandone alcune caratteristiche non proprio gradevoli, appunto.  Di Hitchcock, per esempio,  che aveva sempre adorato, la Fallaci non potrà fare a meno di scrivere: «Ad essere obiettivi, era decisamente schifoso: gonfio, paonazzo, una foca vestita da uomo. Non gli mancavan che i baffi. Da quel grasso di foca il sudore colava copioso ed olioso, in più fumava un puzzolentissimo sigaro che aveva il solo vantaggio di nasconderlo per lunghi secondi dietro una densa nube azzurrina».
Ma la Fallaci stessa non risultava così simpatica, forse perchè non aveva paura di usare le parole, proprio nel momento storico in cui si instaurava la dittatura del politicamente corretto,  per cui oggi per dire ciechi usiamo "non vedenti", se non addirittura "otticamente svantaggiati", per dire vecchio diciamo "anziano", per donna di servizio "colf", per spazzino "operatore ecologico". Ma questo non cambia la percezione del senso comune della gente.  Ecco, io, per esempio, preferisco gli irriverenti antipatici ai politicamente corretti.
Tra le tendenze moderne che si affiancano al malcostume delle raccomandazioni e delle corsie preferenziali, e che generano altrettanta antipatia,  ci sta sicuramente il pagamento di un extra in cambio di una priorità o di un avanzamento di posizione. Sei in fila al check-in del volo low- cost? Puoi avere un posto decente se paghi un importo aggiuntivo, così come se vuoi che i tuoi figli siano in pole position nelle attrazioni dei parchi divertimento, devi sborsare qualcosa in più. E pure i social networks, democratici per antonomasia, ti danno la possibilità (pagando) di promuovere  il tuo post mettendolo in testa alle liste degli interventi.
E comunque, diciamocelo, ci sono tanti fattori che concorrono al fatto di renderci antipatiche persone e situazioni:  aspetto fisico, gestualità, modo di relazionarsi, gusti in fatto di moda, sport, politica, religione. 
Cosa fare? 
La cosidetta psicologia positiva afferma che è sempre utile assumere un’ottica da antropologo, come se avessimo di fronte a noi un rappresentante di una tribù con usi e costumi molto lontani dai nostri. Sto cercando di allenarmi con Grillo e Renzi, tanto che mi sta diventando simpatico pure Briatore. Sarò sulla strada giusta?