sabato 26 ottobre 2013

Si chiama Rex, non è nè un dinosauro nè un cane, ma l'uomo del futuro.


Frankie e il fiore - Giancarlo Caracuzzo


Ebbene si,  abbiamo a che fare con il più sofisticato modello di robot mai creato,  frutto del lavoro di anni e di 17 aziende ad alta tecnologia di ogni parte del mondo.
Il modello che l'ha ispirato è un uomo in carne ed ossa, Bertolt Meyer, uno psicologo 36enne dell'Università di Zurigo, nato senza la parte inferiore del braccio sinistro, che al suo posto ha una protesi bionica.
Pur avendo un volto con sembianze umane, Rex ha l’aspetto di un robot, e non è del tutto rassicurante.
È alto oltre un metro novanta, ha arti metallici e un corpo costituito interamente da parti meccaniche.
Ma ci ha pensato Harrods, il grande magazzino, a renderlo più "umano", fornendolo di capi di abbigliamento eleganti e raffinati.
Ma veniamo agli organi interni di Rex. Ebbene si, ha un cuore che, usando una pompa elettronica, batte e fa circolare il sangue artificiale. Ed ha anche un rene, che simula abbastanza verosimilmente quello umano. Ma mancano ancora il sistema digestivo e la pelle. E poi, obiettivamente, manca l'elemento fondamentale, il cervello. Anche se gli svariati studi nel campo dell'intelligenza artificiale potrebbero trovare delle soluzioni.
A cosa potrebbe servire Rex? A spegnere un incendio, per esempio, o a fare il badante per le persone anziane (i giapponesi stanno lavorandoci). Ma, purtroppo, potrebbe essere impiegato anche per scopi militari, e per danneggiare altri uomini. E allora entriamo nel campo di quella che è stata definita la roboetica, di cui  gli addetti ai lavori discutono da molto tempo .
Se pensiamo che fabbricare Rex è costato 740 mila euro, cosa succederà quando, per motivi di produzione seriale, ognuno di noi potrebbe averne uno nell'armadio? Sarà buono o cattivo questo novello Frankestein?



sabato 19 ottobre 2013

Il futuro sotto l'albero.

Illustrazione di Giancarlo Caracuzzo

Premettendo che quest'anno non ci sarà molto da scialare, e anche i regali di Natale risentiranno della crisi,  c'è sicuramente un oggetto che diventerà il must-have di molti, e li capisco anche, tanto mi ha incuriosito l'articolo di cui sto parlando.

A Londra è già in vendita a circa 40 sterline,  e per dicembre gli esperti di marketing ne prevedono grandi ordinativi. Di cosa si tratta? Di statuine di circa 20 cm, che rappresentano la copia perfetta di chi le acquista.

Da quanto ho capito, in un futuro non molto lontano, sarà possibile con le 3D printers riprodurre qualsiasi cosa, partendo da una immagine scansionata : dall'auto al portachiavi.

E allora cominciamo dal "mini-me". Si va nel negozio, ci si sottopone ad una scansione con un apparecchio manovrato da un addetto, e dopo 7 giorni si va a ritirare il prodotto. L'immagine viene frammentata, rielaborata, ricucita, e il risultato finale riproduce fedelmente ogni minimo dettaglio di quel momento.

Tanto è l'entusiasmo che già si prevede che le fotografie verranno messe da parte, fino a diventare obsolete, a favore di questi oggetti tridimensionali. Un battesimo, una laurea, un matrimonio. Già immagino dei  presepi in casa! Ma allora dovranno inventare il "photoshop" per le statuine, per correggere qualche difettuccio!





sabato 12 ottobre 2013

Dal figlio sul misura al leader per caso. Meno male.

Illustrazione di Giancarlo Caracuzzo

Il mito dell'eugenetica sta diventando realtà.
Attraverso dei complicati algoritmi, partendo dalle caratteristiche genetiche dei genitori, si potrà decidere se un figlio dovrà avere gli occhi azzurri, verdi, o neri.

Ma non solo. Nel questionario,  strutturato apposta per affinare la selezione,  a parte scegliere il sesso, si devono barrare altre caselle, del tipo: lo vogliamo longevo, ma a rischio di cancro al colon e ospedalizzazione, oppure preferiamo che abbia un numero minimo di giorni trascorsi in ospedale? In che sport lo vorremmo vedere eccellere? E così via.

E' una azienda americana,  che dispone di un gigantesco database di dna (400.000 profilazioni), che sta mettendo a punto il sistema,  che consentirà ai single o alle coppie che si affidano alla fecondazione eterologa, di scegliere lo spermatozoo o l'ovulo giusto per avvicinarsi al proprio ideale di figlio. Un figlio à la carte, insomma.

E ora veniamo ai bambini leader per caso, ma che hanno le idee molto chiare su come deve girare il mondo: "Caro ministro, le scrivo perché mi piacerebbe avere una maestra". La lettera di Timothée, 9 anni, è stata imbustata qualche giorno fa a Vins-sur-Caramy, nel sud della Francia, per essere recapitata nell’ufficio parigino di Vincent Peillon, titolare dell’Istruzione.
L’alunno di quinta elementare è diventato il portavoce della sua scuola dove manca da mesi una maestra di ruolo. «È un grosso problema Signor Ministro. Se continua così finiremo davvero nei guai». La lettera di Timothée è diventata subito un piccolo caso, ripresa dai giornali e tv francesi, costringendo il ministro a rispondere.
E ormai capita sempre più spesso di assistere a conferenze o eventi umanitari in cui bambini sono chiamati a esprimersi, a dare il loro punto di vista. Usano parole e concetti semplici, diretti, si fanno capire meglio.
Molto scalpore e commozione ha destato il discorso che la giovane attivista pakistana Malala Yousafzai ha tenuto il 28 settembre a Harvard,  di cui riporto un brano:
"Oggi chiediamo alle potenze mondiali, chiediamo loro di capire che non si può mai mettere fine a una guerra con una guerra. Si possono combattere le guerre attraverso il dialogo e l’istruzione. E chiediamo alle potenze mondiali, se vogliono vedere la pace in Siria, in Pakistan, in Afghanistan,
di non mandare fucili, ma penne; di non mandare carri armati, ma libri; di non mandare soldati, ma insegnanti.
E ricordiamoci che anche un solo libro, una sola penna, un solo bambino e un solo insegnante possono cambiare il mondo.
Oggi dobbiamo sognare! Sognare un futuro radioso, dove ogni bambina e ogni bambino potranno andare a scuola; dove i diritti delle donne saranno riconosciuti e dove ci sarà uguaglianza e giustizia. Difendiamo i nostri diritti, combattiamo per i nostri diritti. Noi saremo il futuro, costruiamo il
nostro futuro oggi e trasformiamo i sogni di oggi nella realtà di domani."





sabato 5 ottobre 2013

Manmohan, le sue frittate, e l'India che non cresce più.

Illustrazione di Giancarlo Caracuzzo


Manmohan si chiama come l'attuale primo ministro indiano, artefice dal 1991 della rivoluzione economica che  ha portato il suo paese  ai primi posti mondiali nella crescita del pil, incentivando l'imprenditoria privata e liberandola dai moltissimi e complicatissimi apparati di permessi e regole.

L’ascesa dell’India fino all'anno scorso appariva così inarrestabile che, in occasione dell’annuale forum di Davos, un rappresentante del paese ebbe a dichiarare: “l’India crescerebbe anche dormendo”. Non sembra, però, stia andando esattamente così.

Ma torniamo al nostro Manmohan. Si sveglia ogni mattina alle 6, e non deve fare un lungo tragitto per andare ad aprire la sua bottega, perchè il suo giaciglio è sistemato ai bordi di una delle più affollate strade di New Dehli, in uno dei distretti più eleganti.

Si lava la faccia con l'acqua (quasi pulita) di una bottiglia, si da una sistemata ai capelli tinti con l'hennè, ed è pronto per la sua giornata di lavoro in strada. Fin dalle prime ore del mattino comincia a vendere le sue mercanzie: tabacco, bibite, caramelle sfuse, uova bollite. Non prima di aver spazzato il suo luogo di lavoro, sistemato l'altarino votivo con le offerte alle divinità e dato una ciotola di latte al suo fedelissimo cane.

Ma il suo prodotto di punta sono le frittate, corredate di pancarrè e cipolle. A partire dal pomeriggio si contano in fila davanti al banchetto circa 40 persone all'ora, e Manmohan si fa dare il cambio, occasionalmente, da qualche aiutante, utilizzato anche per scaricare la merce e fare qualche lavoro più pesante. Il fornello è uno di quelli ricavati da una lattina;  si va avanti fino a mezzanotte.

Manmohan rappresenta il simbolo della nuova economia "informale". Non paga alcuna tassa, e al netto delle spese il suo reddito è di circa 1.000 euro al mese. Una cifra notevolissima per il potere d'acquisto indiano. E veniamo agli acquisti, appunto. Gli indiani hanno un debole per l'oro, e anche Manmohan, come ogni rappresentante della nuova borghesia, non fa che accumularne, aggravando così la bilancia delle importazioni e contribuendo al deficit governativo.

E allora, mi chiedo, cosa succederà quando, per effetto della globalizzazione, si affacceranno all'imprenditoria circa due miliardi di piccoli commercianti, tra indiani e cinesi?