domenica 6 luglio 2014

Paese che vai, assunzione che trovi ( la bellezza influisce sempre).

Giancarlo Caracuzzo - Lady Violet
Leggo  che l'ultima frontiera della discriminazione lavorativa è il "beautism". Nel senso che  una grande bellezza può essere una grande fortuna, anche se dipende dal Paese. Non a caso sono stati fatti degli studi ed è emerso che:
- se una ragazza italiana molto carina manda il proprio curriculum lavorativo ad un'azienda, allegando la sua foto, ha sicuramente molte più probabilità di essere chiamata per un colloquio (54% contro 7% di una candidata bruttina);
- se l'azienda è francese non conta soltanto l'avvenenza, ma la stessa candidata deve apparire elegante, curata, avere un'aria chic, perchè a parità di competenze questo influenza circa l'82% della valutazione;
- se è americana o inglese il sex appeal ha importanza, ma solo se associato a energia e aspetto sano (del genere che caratterizza per esempio Marissa Mayer e Sheryl Sandberg, approdate alla Silicon Valley con grande volontà di imporsi.)
Ma c'è anche da dire che la bellezza ha un prezzo elevato, anche solo per mantenerla, e se sei una casalinga disoccupata sarai più sciatta di chi lavora e deve curarsi, vestirsi bene, investire in cosmetici, palestre, medicina estetica, vacanze. Un circolo vizioso, insomma.
Si è arrivato a pensare che per puntare solo alla meritocrazia, assicurando equità a tutti senza lasciarsi influenzare dall'aspetto fisico, le aziende dovrebbero accettare curricula senza foto, nome ed età.
Può darsi che in futuro, insomma, verranno create, sia per i maschi che per le femmine, delle "quote brutti". Ma anche qui il rischio è dietro l'angolo: forfora, peli superflui e abiti informi saranno il nuovo modo per ottenere un buon posto di lavoro?


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