domenica 8 dicembre 2013

Il Dottor Franchettini è tornato!
Ecco qua il riepilogo, siamo alla quarta puntata:

 Una persona "strana"


Il Dottor Franchettini lo potevi incontrare tutte le mattine al Bar Lilly intorno alle 7 e 15, 7 e 30 al massimo. Usciva di casa prestissimo e non rinunciava mai al suo caffè macchiato, neanche in pieno inverno. La cosa che più colpiva nel volto rugoso erano gli occhi: chiari, freddi ed impenetrabili, anche quando sembrava sorridere.

I modi erano sempre gentili ed educati, ma nessuno nel quartiere sapeva nulla di quell’uomo. La signora Liliana, proprietaria del bar, raccontava in giro che fosse un medico in pensione e che la moglie era morta già da molti anni. Non aveva figli.

Qualche volta avevo provato ad approfondire, mentre consegnavo le monete per pagare la colazione, depositandole nella mano rugosa ed ingioiellata della signora: “Ma il dottor Franchettini… lavorava in ospedale?” Lei imbronciava un po’ la bocca, eccessivamente dipinta di rosso, sollevava la curva delle sopracciglia, guardava verso il basso, ma non rispondeva.

Mi ricordo che in quella mattina di febbraio faceva molto freddo, e lui era tutto imbacuccato: cappotto lungo, sciarpa attorcigliata un paio di volte intorno al collo, basco di lana, guanti di pelle.

Stavo entrando quasi di corsa nel bar insieme a Lorenzo – dovevo accompagnarlo a scuola ed eravamo già in ritardo – quando lui uscì. Ci urtammo, spalla contro spalla, e per la prima volta lessi su quel viso una nuova espressione, un misto di paura e rabbia. Anche Lorenzo cominciò a farmi delle domande. Aveva solo dieci anni, ma si incuriosiva delle persone che lui definiva “strane”. “Mamma, il Dottor Franchettini vive da solo? Quanti anni ha? Sai che l’altro giorno ho visto che aveva comprato un orsacchiotto di peluche? E’ proprio strano…”

Io smorzavo la curiosità morbosa di Lorenzo, non era opportuno che si distraesse troppo dalla scuola e dallo sport, ma qualche giorno dopo, tornando dalla palestra, notammo il vecchietto, che usciva da un negozio di abbigliamento per bambini con una busta enorme. Lorenzo mi tirò per un braccio: “Mamma, seguiamolo, ti prego, voglio sapere dove sta andando!”. Infilai gli occhiali da sole, anche se era quasi buio. “Va bene, camminiamo vicino al muro, stai attento a non farti vedere”.

Il Dottor Franchettini dopo un centinaio di metri si voltò. Avevo il cuore in gola per la paura. Non si accorse di noi, fortunatamente. Subito dopo entrò in una farmacia e si rifornì di una grande quantità di cerotti, garze e disinfettanti. Eppure non sembrava stare male, anzi… ora camminava spedito verso casa. Rimanemmo nel cortile del palazzo, da dove potevamo vedere le finestre dell’appartamento del dottore. Lorenzo volle la mia agendina, dove trascrisse l’esito delle indagini:

“Il DF ha comprato dei vestiti per bambino e dei cerotti. E’ rientrato in casa alle ore 19,05 e si è recato in cucina. Alle 19,10 è sceso in cantina. Alle 19,30 è risalito in cucina ed ha mangiato una cotoletta. Alle 19,50 è sceso in cantina con un iPad.”

Era proprio andata così, ma ero talmente stanca ed infreddolita che non vedevo l’ora di tornare a casa. Lorenzo invece era eccitatissimo: “Mamma, dobbiamo tornare più tardi, voglio scoprire chi c’è in cantina.” “Tu sei pazzo, domani hai il compito di storia, dobbiamo ancora ripassare…” Stranamente Lorenzo non protestò, ma forse lo dovevo capire che non si era arreso per nulla.

La cantina degli orrori.


Mi ero messo a letto dopo aver mangiato un hamburger buonissimo che mamma aveva cucinato sulla griglia, senza aggiunta di maionese, solo limone e un po’ d’olio – è veramente fissata con la cucina dietetica, ha paura che diventi grasso come il mio amico Michele, detto Michelone – Ma prima avevo fatto i compiti, lavato i denti e messo il pigiama, come ogni sera.
Di solito dopo essermi allenato per due ore con la squadra di pallacanestro mi addormentavo quasi immediatamente, ma quella sera mi tornava alla mente il DF, il suo modo strano di comportarsi, quelle luci che avevamo visto dal piano della strada e che corrispondevano alla cantina. Dovevo assolutamente capirne qualcosa di più.
Aspettai che mamma si addormentasse profondamente e sopra il pigiama indossai la tuta nera che mi aveva regalato nonna Ida per il compleanno – non mi era mai piaciuta, ma la mettevo ogni tanto per farle piacere – un vecchio berretto di lana e scarpe da ginnastica. Non avevo una torcia a disposizione, ma la luce che emetteva il mio cellulare poteva bastare. In fondo dovevo solo scendere di due piani ed arrivare all’angolo della strada.
Camminando con passo felpato e guardandomi spesso alle spalle, come avevo visto fare nei film d’azione , mi avvicinai alla inferriata di quella finestra aperta.
All’inizio non vidi nulla, ma fui colpito da un odore, anzi, da una puzza insopportabile. Assomigliava un po’ a quella della carne arrostita sulla griglia, ma molto molto più forte, mescolata a quella del disinfettante che usava nonna quando mi puliva le ferite che mi procuravo cadendo, quando ero più piccolo.
Accesi il display del telefonino per fare un po’ di luce e mi parve di vedere una sagoma umana distesa su un letto, coperta da un lenzuolo. Qualcuno che dormiva? All’improvviso si aprì la porta, e riconobbi il DF. Guardò verso la mia parte ed io scappai a gambe levate, terrorizzato. Non riuscii più ad addormentarmi ed il giorno dopo ero a pezzi, ma non dissi nulla a mamma ed andai a scuola come se nulla fosse successo.
Tanti pensieri mi passavano per la mente. Chi c’era nascosto in quella cantina? Perchè quello strano odore? Non potevo certo raccontare a mia madre quello che avevo scoperto, anche perchè in realtà non avevo scoperto nulla di così sensazionale. Pensai di riprendere le indagini quella notte stessa, ma la stanchezza mi assalì.
Addormentandomi sognai che il DF faceva dei regali ai bambini per attirarli nella sua cantina. Dopo averli torturati per giorni e giorni li uccideva. Infine li faceva a pezzi, li fotografava con l’iPad, con alcune parti del corpo cucinava delle cotolette e le mangiava, per poi far sparire definitivamente i cadaveri.

Michele.


Tornando dal lavoro ero passata a recuperare Lorenzo a scuola, come ogni giorno. L’avevo trovato ad aspettarmi insieme a Michele, perchè la nonna non poteva venire a prenderlo. L’avrei portato a casa con me fino all’ora di cena. Potevano fare i compiti e giocare un po’.
Ero affezionata a quel ragazzino cicciottello, con le efelidi e gli occhi vispi dietro un paio di occhiali da miope, sempre sorridente, anche se ogni volta mi svaligiava la dispensa, divorando voracemente ogni cosa commestibile che trovava.
Appena tornati a casa i due amici si chiusero immediatamente nella stanza di Lorenzo, confabulando a voce bassa. Entrai senza bussare: “Ragazzi, volete mangiare qualcosa prima di fare inglese?”Li trovai al computer e mi avvicinai: “State giocando? Ricordate che prima dovete fare i compiti.” Erano intenti a leggere qualcosa, e la loro espressione preoccupata mentre spegnevano improvvisamente lo schermo del pc proprio non mi piaceva. Avrei indagato più tardi.
Alle 19, mentre preparavo la cena, Lorenzo si avvicinò: “Mamma, ti prego, possiamo far restare a dormire Michelone? Chiama tu i suoi genitori”.
La richiesta mi sorprese. Non per i genitori di Michele, che erano sempre contenti di sbarazzarsi un po’ del figlio , ma perchè Lorenzo non amava condividere il suo letto, anche se era un letto a due piazze; nel sonno si agitava moltissimo e rischiava con le sue lunghe braccia di fare male a chi gli stava vicino.

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