sabato 25 agosto 2012

Il bello del brutto.



Dopo una settimana a zonzo nell’elegante Provenza, qualche pensiero da condividere con voi.
Ho  visitato il Luberon, sulle tracce delle location utilizzate per  “Un’ottima annata”,  tra vigneti e paesini deliziosi,   marmellate all’albicocca  e burro fatto in casa,  tessuti fiorati, lavande ed erbe odorose,  sfumature di ocra e lilla, verde e arancio. Gente orgogliosa ma cordiale,  riservata ma  disponibile.  Ho visto belle mamme e bei papà, con quattro figli al seguito,  tre biondi ed educatissimi, uno dalla pelle color dell’ebano,  che con voce sommessa chiedeva,  attirato dai sassolini nel cortile del bar: “Maman, je peux me lever ?"
L’unica nota stridente, in tutta questa bellezza, proveniva dalla visita al manicomio dove è stato internato Vincent Van Gogh. Il cruccio derivava dal fatto che la sua mente non avesse fatto tesoro di quella natura  e quella luce,   in una deriva inarrestabile verso la follia che lo portò al suicidio.
Ho percorso poi altri 600 chilometri in auto, ammirata per i paesaggi che si snocciolavano davanti a me,  dalla Camargue al Perigord,,  ho  sfiorato la cittadina di Bergerac, quella di Cyrano e dell’apostrofo rosa, e poi sono  arrivata a Bordeaux, lasciando l’auto nei pressi della stazione.
Ed è stato proprio là che ho ripensato alla “Storia della bruttezza” di Umberto Eco, in cui lo scrittore analizza  gli esempi letterari ed artistici che  ci hanno attirato e spaventato, in quanto “brutti”.
Ci sono molti immigrati a Bordeaux,  e se ti siedi ad un bar di Rue des terres de borde, di fronte ad un marinaio corpulento e affascinante, con le unghie sporche ed una Gitanes tra le dita,  capirai perché Marine Le Pen ha avuto un grande successo da queste parti, come l’ha avuto tra le charmant signore provenzali, che difendono il loro “bellismo” a spada tratta.
Dopo qualche ora, fortunatamente,  mi sono ritrovata di nuovo sedotta dal freak, riscoprendo il suo implicito ma palpabile legame col bello. Anche questa volta sono salva.

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