martedì 30 ottobre 2012

L'arte, cattiva o buona?



 L'equilbrista - Giancarlo Caracuzzo



Una cosa è indubbia: in occasione del vernissage di "From SuperHeroes to Supersized", complice anche una serata da ascrivere nell'elenco della migliore tradizione delle ottobrate romane,  tiepida e ammaliante, sentivo che le persone,  entrando in galleria,  erano favorevolmente colpite dal messaggio rasserenante che i ciccioni (modelle, animali, ballerini) comunicavano per mano degli artisti.

L'estetica moderna, ed i curatori di mostre ed eventi, si sa, sono molto sospettosi riguardo all'approccio strumentale alla cultura, con la conseguenza che l'arte che mira a consolare il pubblico viene considerata "cattiva", e quella che non chiede nulla se non di essere ammirata sia "buona".

Ma poichè si dice che in questo mondo sempre più laico i musei sono le nuove chiese di oggi, in quanto luoghi di consolazione e riappacificazione con il significativo e con il sacro, perchè spesso, lasciando un museo, ci chiediamo se in quella raccolta di opere ci sia un messaggio,  o cosa voleva dire l'artista?

L'arte cristiana, in questo senso, non ha mai lasciato dubbi, lanciando messaggi simbolici molto potenti: Maria che ricorda la forza della maternità, la croce che ricorda il coraggio di Cristo, l'ultima cena che svela la menzogna ed il tradimento.

E allora ben venga la semplicità del messaggio, se serve a far sì che un'opera d'arte non sia fine a sè stessa, che sia utile a renderci più sereni, saggi, forse anche più buoni.

Raccoglierei volentieri il suggerimento del filosofo svizzero Alain de Botton, che nella catalogazione delle opere dei musei raggrupperebbe generi ed epoche diverse, distinguendo invece le necessità interiori di chi visita il museo, rendendo più fruibile il tutto. E allora si, forse, i musei potrebbero assomigliare alle chiese.








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