lunedì 9 luglio 2012

Obsolescenza.

È tutto brutto, tutto orribilmente brutto. La tovaglia di carta a
quadretti, la carne stoppacciosa, la gente che chiacchiera a voce
alta. Sposto lo sguardo sui ruderi dell’Acquedotto Romano... ho
freddo, non è più tempo di mangiare all’aperto. Quegli occhi verdi
a me tanto familiari, capaci di disintegrarmi il cuore e sparpagliarlo
nel cosmo trasformandolo in polvere di stelle, li sento estranei, distanti,
irraggiungibili. Anche la voce è cupa, i gesti nervosi, quasi
impacciati. Beh, normale, forse. Un periodo di superlavoro, che
prelude ad un avanzamento di carriera importante. Tutto si aggiusterà,
quando ce ne andremo da questa squallida trattoria a casa
sua, a ridere e a giocare, a nutrire il demone della nostra passione
incontenibile. Ma, ecco, mi sta dicendo che un suo ex compagno
del liceo si è sposato, che dovrà decidersi anche lui a conoscere
qualcuna papabile, da poter presentare. Eh, dico io, prima o poi
succederà. Sì sì, certo, ma faccio ancora troppi confronti con te...
potevamo essere una coppia fantastica. Mi passa un brivido lungo
la schiena, mi stringo di più nel giubbino di jeans e aspetto la mia
condanna. Non parla. Azzardo: «Lo so, sono troppo vecchia per
te». E lui, guardando la tovaglia stropicciata: «Sei una donna bella e
intelligente, non hai neanche cinquant’anni, non direi proprio che
tu sia vecchia, direi che sei obsoleta per quello che mi serve, come
diciamo noi ingegneri elettronici». Quando si dice l’uso della lingua...
Obsoleto: dal valore non più definito, potrebbe non essere
più sopportato ed escluso da versioni future. Non avverto alcun
freddo sulla pelle, ormai, ho un iceberg trafitto nel cuore.

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